Europa sempre più divisa sulle rotte del gas e in particolare sul raddoppio del Nord Stream, che trasporta le forniture russe direttamente in Germania attraverso il Mar Baltico. Il comitato Industria ed energia dell’Europarlamento ha approvato un emendamento alla Direttiva Gas ancora più drastico di quello prefigurato mesi fa dalla Commissione europea, che rischia a questo punto di provocare uno scontro istituzionale.
Il testo – che impone le stesse regole a tutti i gasdotti verso la Ue, compresi quelli già esistenti, e limita a soli 5 anni la possibilità di deroghe – molto probabilmente non sarà accolto dal Parlamento di Strasburgo: il dissenso è forte e per ottenere che la questione sia ridiscussa in sessione plenaria, nella seduta del 16-19 aprile, basta la richiesta di un gruppo o di un decimo degli eurodeputati.
Inoltre, anche il Consiglio europeo non sembra orientato ad appoggiare posizioni radicali come quelle assunte dal comitato: il servizio giuridico dell’organismo aveva sconsigliato di estendere la direttiva ai gasdotti offshore che attraversino la Zona economica esclusiva di un Paese membro, per evitare contrasti con la Convenzione Onu sul diritto del mare.
Molti Paesi, compresa l’Italia, dovrebbero storcere il naso di fronte alle norme approvate ieri dal Comitato, che pure sono passate con 41 voti a favore, 13 contrari e 9 astensioni.
Gli stessi obblighi – tra cui quello di garantire l’accesso a terzi e quello di separare la proprietà delle risorse da quella delle reti di trasporto – sarebbero imposti a qualsiasi gasdotto, non solo il Nord Stream 2 o il Tap, che collega l’Azerbaijan all’Italia, ma anche pipeline già operative, come il Greenstream e il Transmed, con cui ci riforniamo rispettivamente da Libia e Algeria, e nel Nord Europa le condotte dalla Norvegia.
La durata massima delle eventuali esenzioni, fissata ad appena 5 anni,per la maggior parte dei progetti rischia di essere troppo breve per consentire un ritorno sugli investimenti.
E le deroghe, secondo il testo approvato ieri, dovrebbero comunque essere negoziate coinvolgendo la Commissione Ue e «tenendo conto» di eventuali sanzioni economiche a carico dei Paesi con cui si tratta: un altro elemento che colpirebbe in modo particolare la Russia, così come quello della separazione della rete.
Gazprom possiede infatti il 100% di Nord Stream 2 dopo il passo indietro che l’Antitrust polacca aveva imposto agli alleati europei nel 2016. Le tedesche Uniper e Wintershall, la francese Engie, l’olandese Shell e l’austriaca Omv finanziano tuttora il progetto, ma non sono più socie.
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