FRANCOFORTE - Per cambiare modello di business o per lo meno intraprendere nuove strategie per ritornare ad un bilancio in utile dopo anni di conti in rosso, Deutsche bank starebbe cercando un nuovo amministratore delegato per sostituire il 57enne John Cryan. Ancora una volta allo scadere del terzo anno, come già accaduto nel 2012 con l’uscita di scena di Josef Ackermann e nel 2015 con la messa alla porta del duo Anshu Jain e Juergen Fitschen, il presidente del consiglio di sorveglianza – che ha la responsabilità di nominare il board e di approvare tutte le grandi decisioni - Paul Achleitner avrebbe aperto la stagione della caccia grossa secondo quanto riportato dal Times: notizia poi confermata ieri da tutte le grandi testate della stampa tedesca, nonostante il no comment ufficiale della banca.
Quel che venivano dati per certo, ieri, erano i primi rifiuti. Avrebbe detto “no” a ricoprire l’incarico di ceo di DB un banchiere di spicco della Goldman Sachs, l’energico vice-chairman Richard Gnodde, che ha vasta esperienza internazionale ed è americano. Quel che brucia negli ambienti finanziari tedeschi è proprio il fatto che DB non riesca a competere, nei profitti, con i bilanci di JP Morgan, GS, Morgan Stanley e Citigroup sebbene sia una delle poche banche europee che tenga testa alle rivali statunitensi nelle classifiche del mercato mondiale dell’investment banking. Un altro nome che girava ieri era quello del ceo di UniCredit Jean Pierre Mustier, il quale, in una intervista al Sole24Ore lo scorso 9 febbraio, alla domanda se fosse stato contattato per diventare ceo di DB, aveva risposto «sono concentrato e totalmente dedicato alla realizzazione del piano Unicredit». Secondo il Times avrebbe rifiutato l’offerta anche il ceo di Standard Chartered Bill Winters.
In Germania girano comunque anche due nomi di banchieri tedeschi, perché una delle critiche rivolte a DB in Germania è proprio quella di essere divenuta una banca troppo internazionale, correndo rischi senza avere un IT adeguatamente avanzato per il risk management: tra questi il direttore finanziario James Von Moltke (ex-Citigroup ed entrato in DB un anno fa) ed Axel Weber, alla guida di UBS da anni ed ex-presidente della Bundesbank.
Il ceo John Cryan, che ha rinunciato al bonus come l’anno scorso ma che ha uno stipendio fisso pari a 3,4 milioni di euro, non ha molto di cui rimproverarsi: ha centrato uno dei suoi principali obiettivi dichiarati al suo arrivo alla guida del colosso, che era quello di chiudere e sgonfiare il dossier delle maxi-cause legali e multe negli Usa. Sarebbe andato lui di persona a trattare con le autorità americane e la DB ha infine saldato un conto che sia pur da capogiro è risultato comunque inferiore a quanto temuto dagli analisti. Cryan ha anche promesso di tagliare con l’accetta i costi: nel 2015 disse che avrebbe mandato a casa 9.000 dipendenti su 97.000, ma il processo è ancora in corso.
Quel che non è andato giù al mercato, e agli azionisti, sarebbe però l’ennesima perdita al netto delle imposte pari a 497 milioni per il bilancio 2017: i profitti pre-tasse sarebbero stati di 1,3 miliardi e buttati già da una tassa una-tantum Usa, ma i numeri non sono comunque piaciuti. Inoltre il primo trimestre 2018 si prevede già deludente, i numeri sarebbero peggiori del previsto: il titolo DB ha perso in Borsa quasi il 30% da inizio anno.
Il dibattito sul futuro di DB, e sulla cura per rimetterla definitivamente in salute dopo l’annata drammatica del 2016, divampa in Germania: tanto che la figura dello stesso Achleitner sarebbe ora sotto attacco, come responsabile delle scelte degli ultimi ceo che non hanno funzionato.
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