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Venete, si aspetta il decreto-rimborsi. Baretta: «Soluzione a breve»

«Confido che a giorni avremo il decreto. La costituzione del fondo è stata approvata a larghissima maggioranza in Parlamento. Attuare il decreto è solo una questione tecnica, fa parte dell’ordinaria amministrazione». Il sottosegretario all’Economia del Governo uscente Pier Paolo Baretta si dice più che fiducioso a proposito dell’emanazione del decreto attuativo relativo al Fondo di ristoro inserito nella Legge di Bilancio 2018, destinato ai risparmiatori vittime dei reati bancari, i cui termini erano previsti ieri, il 30 marzo. C’è solo bisogno di una presa d’atto formale dalle forze politiche uscite vincitrici dalle urne del 4 marzo. «Stiamo completando l’iter delle verifiche tecniche e degli aspetti giuridici che determineranno i criteri di accesso, le modalità di erogazione, l’entità dei rimborsi e le tempistiche», ha specificato Baretta, aggiungendo che «in ogni caso, siamo tutti d’accordo che l’entità del Fondo sia insufficiente e che vada aumentata».

Sulla possibilità di accedere al Fondo di ristoro - 100 milioni di euro in quattro anni (2018- 2021) finanziati dal Fondo interbancario di garanzia e dal Fondo dei conti dormienti - ci sperano in molti. Non solo gli obbligazionisti e gli azionisti delle ex Popolare di Vicenza e Veneto Banca, ma anche quelli delle quattro banche poste in liquidazione (CariChieti, Banca Etruria, CariFerrara e Banca Marche). Il riconoscimento del danno deve, però, arrivare attraverso una sentenza del giudice o il ricorso alla Camera arbitrale dell’Anac, l’autorità anticorruzione, ed è proprio questo punto che preoccupa maggiormente i risparmiatori delle ex banche venete, a tutt’oggi alle prese con procedimenti penali e civili sempre più intricati.

Il colpo di scena di qualche giorno fa, cioè la disposizione della Procura di Roma, nell’ambito del procedimento a carico di Veneto Banca, di trasferire il processo a Treviso per competenza territoriale, ha sparigliato le carte, rendendo di fatto nullo tutto il lavoro fatto finora, costringendo gli inquirenti a ricominciare da capo e mettendo a rischio prescrizione l’intero procedimento, visto che ci sarebbero all’incirca tre anni a disposizione per concludere tutto (l’aggiotaggio sarà prescritto nel 2021, l’ostacolo alla Vigilanza dal 2022). Gli 11 imputati – tra cui l’ex dg Vincenzo Consoli e l’ex presidente Flavio Trinca, accusati di aggiotaggio e di aver omesso alla Banca d’Italia e a Consob la reale situazione finanziaria e patrimoniale della banca - non possono che esserne soddisfatti, in particolare Trinca per il quale si ipotizza la sola responsabilità morale, ma dalla Procura di Treviso si alzano voci preoccupate: «Un gran lavoro da fare in fretta», «La maxi udienza dove la facciamo? Non basta nemmeno l’aula della Corte d’Assise», «Qui problema di risorse e di spazi». E sconcerto è stato espresso da parte delle associazioni dei risparmiatori, che vedono vanificate le speranze di recuperare il valore delle azioni azzerate. A Treviso, poi, c’è già un secondo troncone di indagini, quello relativo a truffa, falso in bilancio, falso in prospetto che sta portando avanti il Tribunale fallimentare. Il prossimo 19 aprile si attende la decisione sulla richiesta di dichiarazione di insolvenza, che, in caso positivo, prevederebbe per Veneto Banca il reato di bancarotta e quindi un allungamento dei termini di prescrizione. Si parla da tempo dell’ipotesi di unificare i due procedimenti, ma questo filone sta seguendo il suo iter e potrebbe restare diviso da quello penale che migrerà da Roma.

Il trasferimento di sede deciso dal Gup di Roma, Lorenzo Ferri, mette in “stand by” anche il ruolo di Banca Intesa. Nei mesi scorsi Ferri aveva accolto la richiesta delle parti civili di chiamare Intesa a rispondere dei danni derivanti dalle gestioni precedenti di Veneto Banca (non così era accaduto nel procedimento parallelo a carico di Popolare di Vicenza, in cui invece la Procura della città berica aveva escluso responsabilità dell’istituto torinese): lo scorso martedì il Gup romano doveva pronunciarsi sulle eccezioni con cui Intesa chiedeva di essere esclusa come responsabile, ma il trasferimento ha di fatto reso impossibile una decisione su questo punto (che dovrà dirimere Treviso). Punto che per i risparmiatori resta fondamentale, anche se un atto formale firmato a gennaio tra Banca Intesa e i commissari liquidatori della Lca avrebbe decretato che l’onere di far fronte alle cause sarebbe in ogni caso della società liquidatrice, pena la vanificazione del contratto stesso con cui Intesa ha acquistato le due banche venete. Gli avvocati veneti promettono comunque battaglia, in virtù del fatto che la decisione iniziale del Gup Ferri è stata messa agli atti e ha già prodotto conseguenze – ad un ex socio di Bassano del Grappa è stato permesso da un giudice civile di continuare la causa nei confronti di Banca Intesa.

L’altro fronte processuale, cioè quello che riguarda Banca Popolare di Vicenza, prosegue intanto il suo cammino. Anche in questo caso i tronconi di indagine sono due: quello più recente riguarda il presunto ostacolo messo in atto nei confronti di Consob, Banca d’Italia e Bce, ed è quello nell’ambito del quale è stato eseguito il sequestro preventivo di 106 milioni di euro su un conto corrente depositato a Milano. L’altro filone riguarda le accuse di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto. A dare speranza ai risparmiatori azzerati sono, qui, i sequestri che in questi giorni sono scattati ai danni di Gianni Zonin; si tratta di sigilli a beni mobili nelle ville dell’ex presidente della BpVi per circa 20 milioni, somma che rientra nel via libera a sequestri conservativi per 250 milioni a carico di tutti gli imputati. La Procura teme che il patrimonio possa essere disperso, ceduto o donato, e congela i beni non solo per le spese processuali ma anche, alla fine del processo, per i risarcimenti. Il 21 aprile il Gup di Vicenza Roberto Venditti sarà chiamato a decidere sull’unificazione dei due tronconi d’indagine.

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