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Il lato oscuro dei listini: così gli algoritmi manipolano i mercati

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Il lato oscuro dei listini: così gli algoritmi manipolano i mercati

Trader sul floor della Borsa di New York (Ap)
Trader sul floor della Borsa di New York (Ap)

Spoofing, pinging, quote stuffing. Parole in codice tra agenti segreti? Assolutamente no. Al contrario termini con cui vengono definiti alcuni comportamenti illeciti dei trader ultra-veloci. Sistemi algoritmici che manipolano il mercato. Negli Stati Uniti, nel gennaio scorso, un’operazione coordinata tra la Commissione di controllo dei future sulle commodity (Cftc), il Dipartimento di giustizia e l’Fbi ha portato alla multa di un gruppo di banche e la messa in stato d’accusa per diversi trader. Il motivo? L’essere coinvolti in «commodities fraud and spoofing schemes».

Già, lo spoofing scheme. L’operazione consiste nell’immettere sul mercato un ampio flusso di proposte di negoziazione, tramite piattaforme computerizzate. L’obiettivo non è concludere l’operazione, ma generare informazioni fittizie per orientare le contrattazioni. Facciamo un esempio. L’operatore A vuole acquistare delle azioni. Il prezzo in Borsa dei titoli è, in quel momento, 10 dollari. Per lui troppo alto. Un valore accettabile sarebbe 8 dollari. Ecco che, allora, “spara” in un millisecondo una valanga di proposte di negoziazione di vendita leggermente superiori alla migliore offerta di cessione presente in Borsa. In altre parole: la migliore proposta di vendita è a 9 dollari e il nostro operatore “mitraglia” il listino con delle offerte a 9,01 dollari, quanto basta per scongiurare eventuali immediate esecuzioni degli ordini. A quel punto gli altri investitori, vedendo aumentare i volumi in vendita, credono che stia iniziando un trend ribassista sul titolo e corrono a disfarsene. Il risultato? Le azioni, mentre l’operatore A cancella in un millisecondo le sue proposte di cessione, calano in Borsa. A quel punto, lo stesso operatore A può comprare i titoli, nel frattempo calati, a un livello più vicino a quello da lui desiderato. Questo è lo spoofing. Una manipolazione che, a ben vedere, può prendere varie forme. Così, ad esempio, si avrà il pinging. Cioè: l’immissione sul mercato di migliaia di ordini (che non si vogliono eseguire) per indurre gli altri trader a reagire e svelare le proprie strategie. Oppure il quote stuffing, quando, sempre attraverso una raffica di offerte di compravendita, si congestiona il mercato, condizionando il comportamento delle controparti. È chiaro che sono tutte situazioni in cui la “potenza di fuoco” dell’algoritmo viene utilizzata in modo illecito. Una manipolazione al tempo dei robot. Simili comportamenti non erano (non sono) rari anche in Europa. Tanto che la direttiva Ue sul Market abuse ha fatto un elenco delle tipologie d’attività e le ha vietate.

Il fenomeno, a ben vedere, era già da tempo entrato nel mirino delle autorità che vigilano sui mercati. Piazza Affari ha adottato un regolamento in cui sono previste delle sanzioni in capo all’intermediario ultra-veloce che supera un determinato livello tra le proposte ritirate e quelle eseguite (il cosiddetto order to book ratio). La stessa MiFid2, entrata in vigore a inizio 2018, prevede regole più stringenti per gli high frequency trader. Un insieme di regolamenti che, secondo diversi esperti, ha indotto gli intermediari a comportamenti più corretti. Anche perché, al di là dell’eventuale sanzione, il rischio reputazionale è molto elevato. Insomma: il presente, specie in Europa e in Italia, potrebbe sembrare meno complicato. Tuttavia, seppure poco visibile, il problema resta. Il numero non elevato di casi registrati è infatti anche conseguenza della probatio diabolica. In altre parole, benché le potenziali attività di spoofing siano graficamente riconoscibili dai monitor di Borsa, è difficilissimo riuscire a provare il dolo del trader. Inoltre la stessa decisione di Bruxelles di individuare, nella direttiva sul Market abuse, le diverse tipologie di manipolazione implicitamente mostra come il fenomeno abbia la sua rilevanza. Un’importanza che, peraltro, le recenti condanne nei listini Usa delle commodity hanno riportato alla ribalta.

Ma non è solo questione di trader ultra veloci. L’algoritmo viene sfruttato illegalmente in altre situazioni. Alcuni giorni fa è stata pubblicata una ricerca che riguarda l’uso di Twitter. Gli studiosi (Riu Fan, Oleksandr Talaver e Vu Tran) hanno analizzato oltre 49 milioni di “cinguettii” (tra l’agosto 2015 e il luglio 2017) riferiti a società del Ftse100 di Londra. Ne hanno estratto quelli realizzati da robot e hanno scoperto che i tweet potevano, in negativo o positivo, influenzare la volatilità e i volumi dei titoli citati nei messaggi. Non solo: seppure per solo circa 30 minuti, le stesse quotazioni potevano esserne influenzate. C’è da sorprenderci? Proprio no. Un altro pool di scienziati, questa volta italiani, ha riscontrato delle anomalie sempre su Twitter. Gli esperti, all’interno del progetto UE SoBigData, hanno passato ai raggi x milioni di “cinguettii”. È emerso da un lato che in parecchi di questi, riguardanti importanti aziende quotate statunitensi, erano citati altri titoli di minore valore; e, dall’altro, che questi tweet venivano “ritwittati” moltissime volte e in pochissimo tempo dai robot. Algoritmi che, amplificando la eco dei “cinguettii”, rendevano interessanti le small cap agganciate ai titoli più noti. L’obiettivo? Gli scienziati non danno risposte.

“I robot sempre di più vengono usati per manipolare le informazioni sui mercati e, in definitiva, le Borse stesse ”

 

Un’ipotesi è però molto gettonata: la volontà è sfruttare l’ecosistema iper-tecnologico delle Borse. I listini, in particolare negli Usa, sono terra di conquista di trader automatici. Sistemi che, soprattutto grazie all’intelligenza artificiale, monitorano anche i flussi di informazioni per “definire” il sentiment dei social network. È chiaro che, nel momento in cui c’è il picco di retweet, l’Artificial intelligence (Ai) segnala il mutamento. Un cambio di sentiment che, ecco il perché del link con titoli più importanti, non sarebbe percepito rispetto alle azioni minori. Al contrario: la citazione della small cap nel “cinguettio” che riguarda il titolo monitorato dall’Ai, può consentire all’azione stessa di entrare nel radar dei trader automatici. I quali, in ipotesi, possono prendere posizione su di un’informazione che, però, è sbagliata. Modificata, per l’appunto, dai robot che hanno realizzato i migliaia di retweet. Insomma: i robot sempre di più vengono usati per manipolare le informazioni sui mercati e, in definitiva, le Borse stesse.

Fantafinanza? Non proprio. La tecnologia, come ricorda Tom C.W. Lin professore associato in legge alla Temple University Beasley School of Law, è un meccanismo potente per realizzare la «new market manipulation». E non da oggi. Lin, in suo studio, ricorda che senza fare uso di robot «nel recente passato ci sono stati molti episodi di disinformazione finalizzati ad alterare» i listini. Tra gli altri: l’hacker che, nel 2013, si infiltrò nell’account Twitter dell’Associated Press per rilanciare la falsa notizia di un attacco alla Casa Bianca (i mercati fecero un tonfo); oppure la finta proposta di acquisizione su Avon e Rocky Mountain Chocolate “infilata”, addirittura, nel sistema elettronico informativo della Sec. O, ancora, il gruppo illegale individuato da FireEye. Quest’ultimo è un interessante caso. La società di cybersecurity, su segnalazione di un cliente, è riuscita a scoprire un’organizzazione (denominata Fin4) che, negli anni, aveva messo nel mirino più di 100 realtà: dalle aziende quotate, soprattutto farmaceutiche, fino alle imprese di consulenza e uffici legali. Fin4, a ben vedere, non “infettava” le sue vittime con virus informatici. L’obiettivo era catturare password e username. Il tutto per acquisire informazioni riservate che consentivano a Fin4 di acquisire, evidentemente, un vantaggio nell’attività di trading.

Insomma: il guanto di sfida tecnologico è stato lanciato. Regulator e watchdog lo hanno raccolto. Negli Stati Uniti la Sec ha da alcuni anni avviato i programmi Midas e Net che consentono di comprendere e contrastare al meglio, attraverso l’analisi dei dati, le eventuali distorsioni del mercato. In generale, sia sul fronte tecnologico che normativo, passi in avanti sono stati fatti. E tuttavia, come rimarca Lin, «la mancanza di sufficienti risorse può consentire» ai nuovi ladri hi-tech di essere sempre un passo avanti alle guardie.

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