Guerre, sanzioni e mercati ballerini non sono riusciti a riaccendere l’entusiasmo per l’oro nel 2018. Gli investimenti sono crollati, tanto da affondare la domanda globale a livelli che nel primo trimestre non si vedevano da dieci anni secondo il World Gold Council (Wgc): 973,5 tonnellate, in calo del 7% rispetto allo stesso periodo del 2017.
Anche l’andamento dei prezzi rispecchia (e in parte spiega) lo scarso interesse per il lingotto.
Mercoledì l’oro è sceso ai minimi dell’anno, vicino a 1.300 dollari l’oncia, anche se la Federal Reserve è riuscita a farlo rimbalzare intorno a 1.315 dollari, confermando un percorso cauto di risalita dei tassi d’interesse.
Le quotazioni hanno avuto qualche sporadica fiammata nel corso del 2018 e ad aprile si sono spinte sopra 1.365 $, sfiorando il record da due anni. Ma sono comunque intrappolate da mesi in una fascia di oscillazione insolitamente ristretta, di appena 50-60 dollari, che le tensioni geopolitiche non sono finora riuscite a spezzare.
La stretta monetaria avviata negli Usa e la salita dei rendimenti dei Trasuries – con quello a dieci anni che ha bucato la soglia psicologica del 3% – non giocano a favore dell’oro. Così come non giova che il dollaro da qualche settimana sia tornato, in modo imprevisto, a rafforzarsi.
Lacaccia al bene rifugio potrebbe ripartire se il 12 maggio Donald Trump sceglierà, come appare probabile, di ripristinare le sanzioni Usa contro l’Iran. Ma in fondo l’oro non si era scaldato troppo nemmeno con il blitz americano in Siria, né sembra aver beneficiato dei timori di guerre commerciali, che pure hanno inflitto qualche scossone alle Borse.
Nel primo trimestre, osserva il Wgc, sul mercato hanno influito segnali di segno diverso: «La salita dei tassi di interesse ha contrastato la netta volatilità dei listini azionari e i periodi di maggior rischio geopolitico».
Il risultato è stato un crollo del 27% della domanda di oro da investimento, a 287 tonnellate. Gli acquisti di barre e monete sono diminuiti del 15% in termini di volume, con cali quasi ovunque (le eccezioni sono costituite dall’Iran, dove il rischio sanzioni ha provocato un boom di acquisti, e la Turchia).
Quanto agli Etf, i flussi si sono confermati positivi per il quinto trimestre consecutivo, ma di appena 32 tonnellate, due terzi in meno rispetto a gennaio-marzo 2017, e grazie soltanto agli investitori americani. I riscatti hanno infatti avuto la meglio sia in Europa (dove però c’è stata un’inversione di tendenza ad aprile, fa notare il Wgc) sia in Cina.
Anche in gioielleria i consumi di oro stanno perdendo colpi: a livello globale c’è una sostanziale tenuta (-1% a 488 tonn), che tuttavia maschera l’estrema debolezza di alcuni mercati chiave, a cominciare dall’India, dove c’è stato un calo del 12% ai minimi dal 2008.
L’unico vero motore di crescita per la domanda nel primo trimestre sono state le banche centrali: le riserve auree sono aumentate del 42%, grazie ad acquisti netti per 116,5 tonnellate, di nuovo in linea con la media trimestrale degli ultimi 7 anni, ma a comprare sono state quasi unicamente Russia, Turchia e Kazakhstan. Bene anche gli impieghi industriali (+4% a 82,1 tonnellate).
L’offerta di oro è intanto cresciuta anch’essa (+3% a 1.063,5 tonn), grazie alle miniere ma anche a un ritorno dei produttori alle pratiche di hedging: altro fattore che rischia di pesare sui prezzi dell’oro.
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