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Pressioni americane sulla Cina: compri più materie prime…

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negoziati sul deficit commerciale

Pressioni americane sulla Cina: compri più materie prime «made in Usa»

(Afp)
(Afp)

La pax commerciale con la Cina dovrà passare, secondo gli obiettivi di Washington, attraverso la firma di contratti che impegnino le imprese a rifornirsi di materie prime «made in Usa»: petrolio e gas da shale, con cui la Casa Bianca è decisa ad affermare il «predominio energetico americano», ma anche prodotti agricoli come i semi di soia o il cotone. È con questo mandato che il segretario al Commercio Wilbur sabato si recherà in missione a Pechino e per il momento i cinesi mostrano di voler stare al gioco. In una dimostrazione di buona volontà, il governo del Paese asiatico non solo ha rimosso una decina di giorni fa le restrizioni all’import di sorgo dagli Stati Uniti, ma sta accelerando gli acquisti anche di altri prodotti americani.

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Sinopec, attraverso la società di trading Unipec, avrebbe ordinato per giugno 16 milioni di barili di greggio dagli Usa, ossia 533mila barili al giono, secondo fonti Reuters. L’ordine – il più grande mai effettuato da una società cinese – vale da solo oltre un miliardo di dollari. La stessa agenzia di stampa riferisce inoltre che Sinograin e Cofco, altri due giganti statali cinesi, sarebbero tornati a sondare il mercato per l’acquisto di soia americana. Non è chiaro se abbiano effettivamente concluso transazioni, ma l’Usda ha segnalato la settimana scorsa l’esportazione di 264mila tonnellate di semi con «destinazione sconosciuta», una classificazione in cui spesso ricadono le vendite a clienti cinesi.

La ripresa dell’export verso la Repubblica popolare, se confermata, rappresenta una svolta significativa. Tra aprile e maggio Pechino non ha acquistato quasi nulla dagli Usa: al contrario ha cancellato ordini per centinaia di migliaia di tonnellate di soia, per sostituirli con forniture da altri Paesi, in primo luogo il Brasile, favorito (tuttora) da prezzi molto più bassi.

Nel caso del petrolio, al contrario, sono i barili americani ad essere particolarmente competitivi: il Wti costa 8-9 dollari meno del Brent, impiegato come riferimento di prezzo internazionale. Lo sconto sul Brent sfiora addirittura 20 $/barile per il greggio delle Midlands, area di shale oil dove la produzione è cresciuta così tanto da aver superato la capacità di trasporto degli oledottti.

Con un arbitraggio così favorevole e con il recente aumento dei prezzi di listino del greggio saudita, che ha fatto infuriare parecchi clienti asiatici (compresa Sinopec che ha ridotto gli ordini), i cinesi non sono peraltro gli unici ad accelerato gli acquisti di greggio americano. L’export dagli Usa ha raggiunto un record di 2,6 milioni di barili al giorno un paio di settimane fa e a giugno secondo Reuters si manterrà in media a 2,3 mbg, di cui 1,3 mbg diretti in Asia, con acquisti in crescita non solo in Cina ma anche in India, Corea del Sud e Thailandia. L’accresciuta concorrenza dei barili «made in Usa» su mercati chiave è un altro elemento che potrebbe contribuire a spiegare il cambio di rotta di Arabia Saudita e Russia sui tagli produttivi (anche se non tutte le qualità di greggio sono fungibili).

La Casa Bianca, decisa a ridurre il deficit commerciale con la Cina, non si accontenta comunque di acquisti sporadici, per quanto ingenti possano essere: l’obiettivo, per il petrolio e altre materie prime, è ottenere un flusso costante di esportazioni, su livelli superiori a quelli attuali: «enormi volumi addizionali», come Donald Trump aveva twittato la settimana scorsa, con riferimento ai prodotti agricoli.

Le ambizioni sono notevoli . Il segretario al Tesoro Steven Mnuchin ha dichiarato alla Cnbc che in ambito energetico gli Usa possono «facilmente» raggiungere esportazioni in Cina per 40-50 miliardi di $ l’anno, contro i 4,3 miliardi ottenuti nel 2017 con petrolio e gas. Gli scambi dovranno svilupparsi «tra società» e garantire l’interesse sia delle imprese americane che di quelle cinesi, aveva specificato Mnuchin, anticipando che a breve sarà annunciato un accordo vincolante per forniture di Gnl dall’Alaska che potrebbe valere 10 miliardi di $ l’anno. Un contratto con l’Alaska Gasline Development Corporation (Agcd) è stato in effetti appena firmato, ma con la britannica Bp.

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