Finanza & Mercati

L’emergenza Venezuela complica il prossimo vertice Opec

  • Abbonati
  • Accedi
petrolio

L’emergenza Venezuela complica il prossimo vertice Opec

Reuters
Reuters

I mercati petroliferi sono tornati a focalizzarsi sul Venezuela, dove la situazione sta peggiorando di giorno in giorno, e le quotazioni del barile hanno ripreso a correre: ieri la seduta si è chiusa con un rialzo di oltre il 2%, che ha riportato il Brent a 77,32 dollari e il Wti a 65,95 dollari.

La convinzione che l’Opec colmerà ogni carenza di greggio comincia a vacillare, probabilmente anche tra gli speculatori, che potrebbero aver interrotto la ritirata. Gli hedge funds – che avevano alimentato il rally del petrolio con un’esposizione rialzista da record – da metà aprile sono diventati sempre più cauti, tanto da ridurre le pozioni nette lunghe (all’acquisto) su Brent e Wti ai minimi da settembre 2017. Il vento forse sta di nuovo cambiando.

Il prossimo vertice dell’Opec, che si terrà fra appena due settimane, si profila ora denso di tensioni. Con l’export di Caracas che rischia di crollare di almeno mezzo milione di barili al giorno questo mese, l’aumento di produzione necessario per compensare dovrà essere ancora più ingente di quanto Arabia Saudita e Russia avessero previsto (i due alleati, secondo indiscrezioni, stavano discutendo di incrementi fino a 1 mbg).

Convincere tutti i membri della coalizione sarà un’impresa quasi impossibile, soprattutto ora che è emersa l’ingerenza degli Stati Uniti, che premono per una riduzione dei tagli produttivi.

Gli stessi sauditi hanno assunto una posizione ambigua. A parole, sembrano tuttora orientati ad aumentare l’offerta di greggio, ma se Mosca senza troppo clamore ha già iniziato ad aprire i rubinetti, Riad ha invece alzato di nuovo i prezzi di listino del greggio, mantenendoli anche a luglio ai massimi da 4 anni in Asia. Rincari sono stati annunciati a ruota anche dagli Emirati arabi uniti.

A mettersi di traverso al vertice Opec ci sarà senz’altro l’Iraq, il cui ministro Jabar Luaibi ha dichiarato che i prezzi del petrolio sono «appropriati» e che «non c’è bisogno di aumenti di produzione».

Contrari anche l’Iran e il Venezuela, indispettiti dal fatto che altri membri del gruppo possano approfittare delle loro difficoltà. Entrambi i Paesi avrebbero (separatamente) scritto all’Opec: due lettere molto simili,per esortare il gruppo a dimostrare «solidarietà e sostegno» di fronte all’ostilità degli Usa.

Teheran, dopo il ripristino delle sanzioni americane, sta già incontrando difficoltà con i clienti europei. Ma a destare allarme è soprattutto il Venezuela.

L’ingorgo di navi al largo del Paese sudamericano aumenta a vista d’occhio: ora ci sono almeno 80 petroliere all’ancora. Molte, ancora vuote, non riescono a entrare in porto per caricare greggio da esportare (secondo Reuters ci sono oltre 24 milioni di barili in attesa di essere spediti).

Altre non possono consegnare nafta o altri diluenti, indispensabili a Caracas per commercializzare gran parte del suo greggio, troppo denso per essere impiegato direttamente nelle raffinerie: un’emergenza nell’emergenza, che potrebbe ulteriormente aggravare la situazione, costringendo a fermare alcuni giacimenti.

Il sequestro degli impianti Pdvsa nei Caraibi ha iniziato subito a pesare sull’export venezuelano di greggio, che a maggio è sceso a 1,169 mbg (- 6% da aprile). Ma ora le vendite stanno letteralmente precipitando.

© Riproduzione riservata