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AUTO

Daimler, profit warning da dazi: scatta l’allarme per l’automotive

La guerra dei dazi pesa come un macigno sull’automotive. Un settore che è diventato negli ultimi anni globalmente interconnesso, legato da ragnatele di alleanze societarie e industriali. Daimler, il gruppo tedesco di Mercedes, ha appena annunciato una revisione al ribasso degli obiettivi di vendita per il 2018 citando espressamente l’impatto della guerra commerciale tra Usa e Cina. Nello specifico a pesare sono stati i dazi al 25% introdotti dalla Cina su una serie di prodotti importati dagli Usa (tra cui spiccano le auto fuoristrada) per un valore di 34 miliardi di dollari. La misura è stata annunciata venerdì scorso come reazione ad analoghi dazi sull’import di prodotti cinesi decisi dagli Stati Uniti.

Nel 2017 la Cina - primo mercato mondiale per le vendite auto - ha importato dall’estero un miliardo e 132 milioni di auto. Soprattutto Bmw (212,9 milioni), Toyota (211,8) e Mercedes (206). Nonostante sia Daimler sia Bmw abbiano investito molto in questi anni per aumentare la produzione di veicoli in Cina oggi rischiano di subire l’impatto sui dazi per un totale di 7 miliardi di euro di fatturato. Una situazione che, secondo gli analisti di Bloomberg, potrebbe avvantaggiare un altro colosso dell’industria dell’auto: Volkswagen i cui suv esportati in Cina (178,3 milioni di unità nel 2017) sono tutti prodotti in Europa.

Ieri tuttavia non è sembrato che le Borse abbiano fatto tante distinzioni, ed è scattata un’ondata di vendite per tutti i grandi nomi dell’auto: da Daimler che ha fatto il profit warning (-4,32%) a Fca (-4,17%) passando per Volkswagen (-3,11%), Bmw (-2,94%) e la francese Psa (-2,81). Se è vero che i dazi cinesi colpiscono più alcune aziende di altre, il fronte europeo della guerra commerciale di Trump rischia di riservare sorprese ben più amare. Oggi scattano ufficialmente i dazi Ue al 25% su una lista di prodotti made in Usa (dal succo d’arancia alle sigarette passando per il whiskey). Il timore di molti nell’industria automobilistica è che, se i toni dovessero alzarsi con l’Europa così come avvenuto con la Cina, Trump potrebbe dar seguito alle minacce di imporre tariffe anche sulle importazioni di auto europee.

CAR MAKER E COMPONENTISTI IN BORSA

In questo rigurgito di protezionismo globale, l’auto è uno di quei settori destinati a soffrire di più proprio per come negli ultimi anni il settore si è sviluppato a livello globale. La cosa paradossale è che gli Stati Uniti di Trump che per primi hanno gettato il sasso nello stagno, sono quelli che rischiano di essere danneggiati dall’alzata dei muri in termini di diminuzione occupazionale e dell’export di auto.

La tedesca Bmw, stando ai dati del Dipartimento al Commercio Usa, è la prima società esportatrice di auto dagli Stati Uniti. A Spartanburg, in South Carolina, la società di Monaco dal 1994 ha investito quasi nove miliardi per creare uno stabilimento di 500 ettari che dà lavoro a novemila persone, in gran parte americani. Negli Stati Uniti la casa tedesca produce soprattutto il suv X3, ma il 70% della produzione viene esportata in Europa e in Cina. Bmw da mesi è già al lavoro per limitare i danni del protezionismo. Si è attrezzata per produrre la X3 destinata alla Cina nei suoi stabilimenti in Sudafrica. Entro fine anno prevede di riuscire a produrla direttamente in Cina con il partner locale Brilliance. Daimler a settembre completerà la costruzione di uno stabilimento in Carolina del Sud per produrre i van Mercedes.

Anche Volvo, car maker svedese salvato dai cinesi di Geely Group, nel 2015 ha cominciato a costruire il suo stabilimento americano, a Charleston, sempre nella Carolina del Sud. Per lo stabilimento americano di Volvo, che sarà ultimato a fine anno, sono stati investiti 1,1 miliardi di dollari. A regime la fabbrica darà lavoro a 3.900 americani per produrre la nuova berlina media S60, che sarà la prima Volvo a essere proposta senza nessuna motorizzazione a gasolio, e poi il suv XC90. Nel complesso i car maker stranieri e i componentisti in South Carolina danno lavoro a circa 66mila persone. Il calo dell’export rischia di pesare. L’avanzata protezionistica costringe le case negli States a rivedere le strategie: costerà di più importare alluminio e acciaio e bisognerà considerare, per dire, i dazi imposti dai cinesi per le auto Volvo (di proprietà cinese) prodotte in Usa ma esportate nel paese asiatico.

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