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Le grandi banche Usa promosse dagli stress test della Fed

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Giovedì la seconda prova

Le grandi banche Usa promosse dagli stress test della Fed

(Ap)
(Ap)

NEW YORK - Le grandi banche americane passano a gonfie vele gli stress test edizione 2018 della Federal Reserve. Robuste abbastanza da tener testa, se necessario, ai più gravi rovesci economici. La Fed ha promosso le 35 holding finanziarie - che assieme rappresentano quattro quinti degli asset del settore negli Stati Uniti - sottoposte al vaglio nella prima parte delle sue prove annuali di solidità. Le banche sono state giudicate “fortemente capitalizzate” e rimarrebbero solide in caso di crisi.

Il voto positivo di ieri sera sulle banche - il quarto consecutivo - non ha nascosto alcuni esiti meno brillanti. In particolare due protagonisti, Goldman Sachs e Morgan Stanley, hanno superato la prova soltanto di stretta misura, anche se Goldman ha criticato l’esito. Oltre alle banche americane, da JP Morgan a Bank of America e Citigroup, la Fed ha analizzato gruppi stranieri con forti attivita' Usa: Deutsche Bank, Ubs, Rbc, Credit Suisse, Bnp Paribas e Barclays. La Fed aveva di recente definito “travagliata” la divisione statunitense di Deutsche, ma tutte hanno invece passato l'esame con in vetta Credit Suisse.

Gli esiti di ieri, tuttavia, sono solo la prima parte degli stress test. Verranno completati giovedi' della prossima settimana, al termine di una seconda - e piu' significativa - prova mirata a valutare piu' accuratamente le condizioni qualitative dei singoli istituti. E' quella prova - battezzata Comprehensive Capital Analysis and Review (CCAR) - a dare o meno il via libera ai piani di capitale presentati dagli istituti, cioe' a dividendi e buyback attesi dagli investitori. L'anno scorso tutte le banche passarono anche la seconda parte dell'esame, con pagamenti agli investitori sotto forma di cedole e riacquisti di titoli propri vicini al 100% degli utili previsti nell'anno. Oggi gli analisti anticipano simili performance, con le banche che nei payouts potrebbero superare l'asticella del cento per cento.

Le banche americane sono infatti reduci da utili record, aiutate dalla riforma delle tasse che ha abbassato le aliquote aziendali e da sforzi di deregulation in atto sotto l'amministrazione Trump. Nell'ultimo trimestre la riforma fiscale da sola ha portato in dote 7 miliardi ai profitti. Di recente amministrazione e Congresso hanno intanto ammorbidito l'impianto della riforma Dodd-Frank introdotta all'indomani del collasso del 2008. La Fed aveva cominciato i test bancari, prescritti dal Congresso, l'anno successivo. Se finora sono stati condotti su istituti con asset oltre i 50 miliardi, con la revisione appena varata in futuro la soglia sale ad almeno cento miliardi. La Fed ha gia' oggi esonerato tre banche finora esaminate, che avrebbero portato il totale a 38, perche' ricadevano sotto la soglia dei cento miliardi.

Negli ultimi test le banche hanno comunque dovuto fare i conti con le condizioni piu' dure mai delineate dalla Fed, un elemento che ha premuto sugli esiti pur senza far deragliare la promozione. Nello scenario piu' negativo dei tre messi a fuoco, con una disoccupazione che risale al 10%, un Pil che cade del 7,5% e la Borsa che crolla del 65%, le perdite complessive su prestiti sono state stimate in 429 miliardi. E in nove trimestri i passivi totali salirebbero a 578 miliardi.
“Nonostante uno scenario difficile e altri fattori che hanno influenzato i test di quest'anno - ha affermato Randal Quarles, vice-presidente della Fed incaricato della supervisione bancaria - i livelli di capitale delle aziende dopo una ipotetica severa recessione globale sono piu' elevati degli attuali livelli di capitale delle grandi banche negli anni precedenti la piu' recente recessione”.

Piu' in dettaglio, il Tier 1 capital ratio in caso di crisi e' sceso collettivamente al 7,9%, rispetto al 12,3% di fine 2017. Il risultato e' nettamente superiore al livello minimo richiesto dalla Fed, pari al 4,5%, seppur inferiore al 9,2% ottenuto nei test del giugno dell'anno scorso. Credit Suisse ha svettato in classifica con il 17,6%, State Street ha invece avuto il “punteggio” piu' basso con il 5,3 per cento. Nei casi ritenuti piu' delicati, quello di Goldman e Morgan Stanley, le due banche hanno di poco battuto un particolare requisito minimo, che comprende l'esposizione a derivati e prestiti: i due istituti hanno mostrato qui livelli del 3,1% e del 3,3% rispettivamente, rispetto alla soglia minima del 3% stabilita. Il Tier 1 di Goldman in caso di rovesci e' stato del 5,6 per cento. Dal 2009, per rafforzare la loro posizione finanziaria, le banche esaminate hanno nell'insieme aggiunto circa 800 miliardi di capitale di qualita'.

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