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Intervista a Jamie Dimon (Jp Morgan): «Al fianco…

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L’intervista

Intervista a Jamie Dimon (Jp Morgan): «Al fianco dell’Italia. Uscire dall’euro una catastrofe. La fine del Qe non preoccupa»

Jamie Dimon
Jamie Dimon

J.P. Morgan è in Italia da più di 100 anni e «intende rimanerci per i prossimi 100 anni». Jamie Dimon, ceo e chairman di J.P. Morgan Chase & Co., è stato in visita a Roma nei giorni scorsi, a conferma dell’ «impegno totale» della banca verso l’Italia, i governi, gli imprenditori, le istituzioni finanziarie italiani. «La nostra attività qui sta crescendo», afferma con vigore.

Non vede vie d’uscita dall’euro senza «catastrofi» ma vede i benefici che l’Unione europea e l’Unione monetaria europea portano e hanno portato agli europei: è favorevole alla Banking Union e a banche paneuropee più grandi e più forti. Non è la fine del Qe che lo preoccupa, perché il cambio di passo delle banche centrali significa che c’è crescita e quindi arriva per «un buon motivo» mentre è la politica di Trump sui dazi che potrebbe avere ripercussioni negative sulla fiducia e quindi sulla crescita.

L’Italia ha un nuovo governo, un inedito esecutivo Lega-M5S, ed è tornata al centro dell’attenzione della politica e dei mercati mondiali. Come J.P.Morgan guarda all’Italia adesso? Dal suo punto di osservazione, quello di uno dei più influenti player finanziari internazionali, qual è la sua impressione di come la comunità economica globale stia guardando all’Italia?
J.P. Morgan è in Italia da più di 100 anni e intende rimanerci per i 100 anni a venire. La nostra attività qui sta crescendo; a Milano ci sposteremo in nuovi uffici più grandi entro la fine del 2019 per servire ancora meglio i nostri clienti.

Quindi questo significa che l’Italia continua ad essere un mercato attraente…
Tutti i Paesi, tutte le democrazie attraversano fasi alterne. I governi vogliono sempre promuovere maggiore crescita e maggiore occupazione. Aspirano giustamente a realizzare interventi e politiche per favorire la crescita; tuttavia qualche volta le scelte politche determinano conseguenze non previste, non del tutto anticipate. Siamo al corrente dell’attuale situazione politica e siamo convinti che sia facoltà solo e soltanto del popolo italiano di decidere del proprio futuro. J.P.Morgan continua a fare del suo meglio per servire i propri clienti. Rimaniamo completamente impegnati nei confronti dell’Italia, dei suoi governi, delle aziende, delle isituzioni finanziarie e le comunità locali. Il nostro impegno nei confronti dell’Italia è totale e continuerà a rimanere tale.

Cosa pensa della recente volatilità del rischio Italia e l’impennata dello spread BTp/Bund?
Il nostro lavoro è quello di servire le aziende italiane che fanno business nel mondo e, allo stesso modo, le aziende internazionali che vogliono venire a fare business qui in Italia. Siamo assolutamente impegnati su questo fronte e non reagiamo alle notizie che leggiamo sui giornali; non agiamo o reagiamo a quello che succede nel breve termine perché questo non è il modo migliore per costruire le nostre relazioni che vogliamo durino nel medio e lungo termine.

Quindi è corretto pensare che l’espansione di J.P. Morgan in Italia non sia solamente dovuta a Brexit...
Mi aspetto che, a seguito della Brexit, alcune società del settore finanziario e manifatturiero si sposteranno dal Regno Unito in altri Paesi europei, compresa l’Italia. Ma guardando le cose da una prospettiva più ampia, benché alcune società possano pensare di spostare parte della propria attività in Italia, non credo che questo aiuterà più di tanto le imprese italiane. In questo senso non sarà un game changer. Aggiungo che, al momento attuale, non è chiaro fino in fondo come sarà Brexit, quali saranno gli effetti sull’economia e le sue conseguenze ultime; questi sono interrogativi enormi che non troveranno risposta ancora a lungo. Penso che Brexit, in ultima istanza, potrà avere conseguenze molto pesanti per il popolo britannico, per l’impatto sulla crescita del Regno Unito. Aggiungo che una minore crescita del Regno Unito influenzerà negativamente la crescita globale; così Brexit determinerà un danno un po’ per tutti.

L’Europa è preoccupata per Brexit perché è un’uscita dall’Unione Europea. Ultimamente in Italia si è riaperta la discussione sui pro e sui contro di una possibile “exit” dall’Eurozona. Che cosa pensa lei di questo?
Penso che uscire dall’unione monetaria europea sia molto difficile, non è possibile scardinarla senza causare effetti catastrofici. Per come è stata disegnata, l’uscita non è stata prevista. Questo non significa che l’Europa non possa migliorare; ci sono molte problematiche di carattere regolamentare ancora aperte; il fatto che Brexit sia accaduta dovrebbe rendere il dialogo tra i paesi Europei più facile.

Nel summit di Bruxelles a fine giugno il Consiglio Europeo non è riuscito a trovare l’accordo per un ampio piano di riforme per una maggiore integrazione finanziaria. Che cosa dovrebbe fare l’Europa per accelerare il processo di integrazione?
L’Europa è una delle economie più importanti del mondo per PIL aggregato; compete con gli Stati Uniti e la Cina, aspetto non trascurabile. L’unione politica si è dimostrata molto positiva per i cittadini europei: non dimentichiamo che ha portato la pace per molto molto tempo. Anche la realizzazione del mercato comune europeo rappresenta un grande risultato. Gli europei stanno meglio con un’unione europea e unione bancaria: questo è il messaggio che alcuni leader stanno promuovendo ed è il percorso da seguire per l’Europa, a mio parere. Ciò detto in Europa è molto difficile fare progressi verso una maggiore integrazione; i cittadini lamentano l’eccessiva burocrazia proveniente proprio da Bruxelles. La disoccupazione è ancora troppo alta in molte aree dell’Europa, in Italia in particolare è stata molto alta per generazioni e questo è un problema ancora aperto ma che va risolto. J.P. Morgan è qui ora e sempre per sostenere le aziende italiane ed europee. Spero che l’Europa possa risolvere i suoi problemi perché sono convinto che i cittadini europei e le aziende europee stiano meglio in una Europa più integrata.

Una maggiore integrazione renderebbe l’Eurozona più resiliente alle crisi future. La Banca Centrale Europea sta terminando il suo programma di acquisti netti di attività finanziarie e la politica monetaria in futuro sarà prevedibilmente meno accomodante. La Bce si sta ritraendo dal ruolo di sostegno per risolvere le crisi nell’eurozona, e c’è preoccupazione in Europa per questo. Come vede l’euro in questo contesto, come sarà il dopo QE?
Non credo che la Banca centrale europea si stia ritirando. Direi piuttosto che il sostegno straordinario fornito finora non è più necessario. Quindi è giusto che la Banca Centrale Europea stia cambiando direzione perché c’è crescita. Per esempio, l’economia statunitense sta andando bene, cresce al 3% : in questo contesto negli Usa non vediamo piu’ la necessità di ulteriore QE poichè l’economia sta crescendo: i cittadini staranno meglio grazie alla crescita; le persone vogliono lavoro, reddito, salari: il fatto che ci sia crescita globale è molto piu’ importante della fine del QE. Comprendo perfettamente le preoccupazioni che lei ha menzionato circa il processo di fine di questo QE: nascono dal fatto che non abbiamo mai visto il QE in passato, quindi non possiamo sapere esattamente che cosa succede quando finisce. Ci potrebbero essere conseguenze inattese ma questa inversione di politica monetaria è fatta per buone ragioni. In ogni caso, le banche centrali hanno ancora strumenti straordinari a loro disposizione per affrontare qualsiasi crisi.

Non solo la fine del Qe, ora l’Unione bancaria europea arranca: che cosa pensa del sistema bancario europeo?
Sarebbe molto positivo per l’Europa se, ad un certo punto, si creassero delle banche paneuropee, e con questo intendo banche più grandi, più forti e meglio diversificate: ce n’è bisogno. Se si vuole costruire un sistema economico sano e ben funzionante, serve un sistema bancario sano e ben funzionante.Il sistema bancario e l’economia reale vanno di pari passo, sono imprescindibili l’uno dall’altro.
Quindi l’Europa dovrebbe migliorare il proprio sistema bancario. Tuttavia per avere banche autenticamente europee devono avvenire dei cambiamenti nel sistema regolamentare, dovrebbero essere adottate regole bancarie comuni, un obiettivo verso il quale l’Europa non si è mossa abbastanza in fretta.
C’è stata la crisi e le banche si sono prese una giusta una parte di colpa e nuove regole sono state introdotte in Europa. Ma 8-10 anni dopo lo scoppio della crisi il nuovo quadro regolatorio europeo non è ancora definitivo. Un giorno rifletteremo sulle implicazioni di tutto questo e ci renderemo conto di quanto abbia rallentato l’erogazione del credito all’economia e di come l’economia reale ne abbia subito le conseguenze.

Tuttavia proprio adesso l’amministrazione USA si sta muovendo verso una deregolamentazione bancaria e le banche europee temono che le rivali statunitensi saranno più competitive.
Negli Stati Uniti la regolamentazione bancaria è attualmente molto più stringente della regolamentazione europea: sono richiesti maggiori requisiti di capitale e di liquidità. Una possibile decisione degli Stati uniti di rendere meno severa la regolamentazione bancaria, ci avvicinerebbe alla regolamentazione europea e ci renderebbe ancora più competitivi. La veda però da un altro punto di vista: J.P.Morgan é qui per sostenere le banche europee. Guardando al passato, osserviamo che gli Stati Uniti si sono mossi più velocemente dell’Europa per uscire dalla crisi e implementare la loro nuova regolamentazione. L’Europa non è stata veloce abbastanza. Ma questo è il punto: i regolatori vogliono che le banche prestino denaro? molte delle regole sui requisiti di capitali che hanno imposto alle banche di raccogliere più capitale sono state istituite per proteggere le banche ma, diversamente dal previsto, non hanno certo determinato maggiore credito bancario.

Oltre alla deregulation bancaria, l’Europa teme molto il protezionismo e l’aumento dei dazi minacciato o implementato dell’amministrazione Trump. Arriverà una vera e propria guerra commerciale?
J.P. Morgan crede fermamente nel commercio libero e nel commercio equo. In materia di commercio, quando ci sono motivi di contestazione legittimi - e mi permetta di dire che alcuni dei punti sollevati sono legittimi e non di poco conto - non credo la minaccia dei dazi sia il modo migliore per risolvere il problema. I Paesi dovrebbero dialogare con le loro controparti commerciali, discutere i motivi di disaccordo. Minacciare dazi più alti potrebbe portare a conseguenze non prevedibili, certamente determinare maggiore incertezza. Questa è già una conseguenza piuttosto negativa: quando l’incertezza cresce, fiducia e investimenti diminuiscono. Non c’è ragione di pensare che questo è quanto succederà questa volta: al momento la fiducia dei consumatori e delle aziende si attesta ancora su livelli molto alti; potrebbe scendere un po’ ma non molto. Tuttavia, se continua in questo modo, i dazi potrebbero avere un effetto negativo. Questa è la ragione per cui noi in JP Morgan non amiamo i dazi. La business community americana ha sollevato questo punto con il presidente Trump: l’impatto delle tariffe sul commercio potrebbe annullare i benefici che l’economia statunitense sta ottenendo dalla riforma fiscale, anche se non sappiamo ancora in che misura esattamente.

Parlando di minacce, ritiene che fin-tech, blockchain, intelligenza artificiale costituiscano una minaccia per il settore bancario, soprattutto se le banche non si adatteranno in fretta a questa nuova rivoluzione tecnologica?
Certamente le banche sono in grado di adattarsi.E si adatteranno. Le nuove tecnologie devono essere usate per servire meglio e con maggiore efficienza la clientela business e retail, i consumatori, le famiglie, le aziende, per rendere il sistema dei pagamenti efficiente e per aumentare la protezione dei dati. E’ vero tuttavia che il cambiamento tecnologico sta avvenendo velocemente, più velocemente del previsto e una gestione agile è necessaria per rendere possibili tutti i benefici che questo cambiamento porta con se. Noi usiamo blockchain e intelligenza artificiale. Mi aspetto una competizione serrata nel settore bancario: ci saranno sempre nuovi player che proveranno a prendersi il nostro business. Il mio lavoro è di non consentire loro di farlo.

Jamie Dimon's interview with Il Sole 24 Ore, english version

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