C’è vita dopo il Qe.
I mercati, le imprese e le famiglie potranno fare a meno del programma di acquisti di attività finanziarie della Bce che finirà il 31 dicembre del 2018: un programma iniziato nel marzo del 2015 con gli acquisti di titoli di Stato e cartolarizzazioni per contrastare il rischio della deflazione e abbassare quanto possibile i tassi d’interesse sulla parte lunga della curva dei rendimenti, un intervento necessario per abbattere il costo del denaro e sostenere la ripresa economica assieme al taglio dei tassi a breve termine.
Il cosiddetto “Qe” è in via di chiusura perché questa iniezione di liquidità aggiuntiva non è più straordinaria come una volta, quando l’Eurosistema acquistava 80 miliardi oppure 60 miliardi al mese: è meno efficace adesso perché l’importo non è elevato, ridotto nel gennaio 2018 ad acquisti mensili da 30 miliardi dai 60 miliardi precedenti. Il fatto che dal prossimo primo ottobre al 31 dicembre gli acquisti verranno ulteriormente dimezzati da 30 a 15 miliardi non è dunque una rivoluzione, è la riduzione graduale promessa dalla Bce e attesa da tempo dai mercati. Dopo altre riduzioni: da 80 a 60 miliardi e da 60 a 30 miliardi.
Perché il Qe non serve più
Il Qe inoltre non serve più perché verrà comunque rimpiazzato dalla gestione dello stock da 2.700 miliardi (a regime) di attività finanziarie nel bilancio delle banche centrali dell’Eurosistema, di cui circa 350 miliardi in titoli di Stato italiani. Il reinvestimento di tutti i titoli che scadono sarà una forma molto efficace di sostegno al mercato e all’economia, perché impedisce ai tassi a lungo termine di salire oltre quanto desiderato dalla politica monetaria della Bce che resta accomodante. Per i mutui e per i prestiti pluriennali, questa è un’ottima notizia.
Dopo la fine dell’Asset purchase programme, così si chiama il programma di acquisti di attività finanziarie dell’Eurosistema delle 19 banche centrali dell’euro, la Bce potrà contare dunque su un nuovo strumento di politica monetaria che è quello del reinvestimento del capitale dei titoli rimborsati e giunti a scadenza: questa attività di reinvestimento è iniziata nel marzo 2017. E prevedibilmente continuerà per molti anni, anche dopo i primi rialzi dei tassi.
Le modalità del reinvestimento del capitale non sono note: il presidente della Bce Mario Draghi ha fatto sapere ieri, in occasione della conferenza stampa dopo il Consiglio direttivo riunito a Riga in Lettonia, che una decisione a riguardo è importante e verrà presa nei prossimi mesi.
Crescita Eurozona solida
Dal Qe se ne può fare a meno per altri motivi, a cominciare dalla crescita economica nell’Eurozona che resta “solida” sebbene sia minacciata da rischi geopolitici come il protezionismo dell’amministrazione Trump. La crescita al tempo stesso è sostenuta da politiche fiscali espansive, in Europa e soprattutto negli Usa. Il trend sottostante è buono, anche se nel primo trimestre del 2018 si è registrato un rallentamento, che probabilmente sarà confermato anche nel secondo trimestre del 2018 che potrebbe essere più debole delle attese. Ma un rallentamento era prevedibile dopo due trimestri di picchi di crescita oltre le attese, a fine 2017.
La politica monetaria resta accomodante
Il Qe va in soffitta perché la politica monetaria resta accomodante attraverso lo strumento dei tassi d’interesse che verranno mantenuti a lungo molto bassi. Cominceranno a salire, come annunciato a Riga, dopo l’estate del 2019 dal livello sottozero -0,40% delle deposit facilities presso l’Eurosistema. La Bce ha dunque accompagnato la fine del Qe con la promessa di mantenere bassi i tassi “almeno” fino all’estate inoltrata del 2019: questa decisione, che allunga i tempi del primo rialzo dal novembre 2011, comunque dovrà essere confermata dopo una verifica sull’andamento dell’inflazione. I tempi lunghi del rialzo dei tassi hanno accompagnato l’annuncio della fine del Qe e lo hanno reso meno preoccupante per i mercati.
L’euro è irreversibile
Un altro modo per disinnescare la mina del Qe è stato quello di confermare ieri, nei toni e nelle parole del presidente Mario Draghi, l’irreversibilità dell’euro e la forza dell’euro. Parlare della ridenominazione dell’euro, cioè il ritorno alle divise nazionali, è una perdita di tempo, non porta alcun beneficio ha detto Draghi e non serve a nulla perché l’euro è e resta irreversibile. Nelle recenti turbolenze sui titoli di Stato europei, soprattutto italiani, la Bce non ha riscontrato il ritorno del rischio di ridenominazione dell’euro. Il Qe come acquisto di titoli da mani forti per contrastare le vendite non serve più di tanto.
Volatilità dei mercati lontana dalla grande crisi
La recente volatilità dei mercati secondo la Bce è stata tuttavia molto lontana dalla crisi del 2011: non si è visto ora il contagio della Grande Crisi e inoltre l’Eurozona dal 2011 si è dotata di strumenti di salvaguardia che la proteggono da eventuali attacchi speculativi: il Qe in tal senso non serve. L’Italia ha registrato un calo dei prezzi dei titoli di Stato molto violento, soprattutto sulla parte a breve della curva dei rendimenti, ma questo è rimasto un “caso isolato”.
L’Eurozona se la caverà bene senza Qe. Il Consiglio direttivo della Bce ritiene che il recente rallentamento dell’economia è stato temporaneo e soprattutto era prevedibile dopo un periodo di picchi di crescita, ben oltre il potenziale. Anche l’inflazione sta risalendo verso il target vicino ma sotto il 2%, in maniera sostenibile nel medio-lungo termine: l’ultimo dato sull’inflazione è dell’1,9%, e dunque il target sarebbe stato per la prima volta centrato. Contribuiscono in questo anche gli aumenti dei salari contrattuali, che hanno raggiunto una media europea dell’1,9% dopo un lungo periodo di stasi: anche in Italia il mercato del lavoro è vicino a una svolta per quanto riguarda la pressione salariale, tradizionalmente bassa: da sotto l’1% di recente è passata sopra l’1% (contro il 2,4% della Germania). Il Qe è nato per contrastare la deflazione, in un periodo nel 2015 quanto l’inflazione è in qualche Paese dell’Eurozona scesa sotto lo zero. La deflazione è stata debellata. Il presidente Mario Draghi ha comunque rassicurato: la Bce è pronta in qualsiasi momento a utilizzare tutti gli strumenti nella sua cassetta degli attrezzi: il Qe per ora chiude ma resta nel cassetto, pronto ad essere riaperto all’occorrenza.
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