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Turchia, Russia e Sudafrica. Perché gli emergenti più fragili…

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Turchia, Russia e Sudafrica. Perché gli emergenti più fragili rischiano di fare la fine del 1994

Qualche anno fa si parlava dei «5 fragili» per indentificare, secondo un’espressione coniata da Morgan Stanley, in Turchia, Brasile, India, Sudafrica e Indonesia le economie più vulnerabili a un rialzo dei tassi Usa a causa della loro eccessiva dipendenza dal flusso di capitali provenienti dall’estero. Da quella sorta di porta girevole sono entrati e usciti diversi Paesi, qualcuno però resta sempre invischiato in questo genere di problemi: Russia, oltre agli ormai abitué Turchia e Sudafrica sono per esempio i più a rischio secondo quanto emerge dal Sovereign Fragility Index elaborato dalla società di consulenza Fathom e pubblicato da Thomson Reuters.

Sotto l’aspetto tecnico, l’indice della fragilità in questione non tiene conto della propensione al rischio dei mercati o dello stato del ciclo economico, né è in grado di cogliere l’impatto delle misure di politica monetaria non convenzionali delle Banche centrali, ma cerca invece di cogliere le forze fondamentali che sono all’opera al di là delle distorsioni temporanee. L’elemento rilevante è che nell’ultima rilevazione disponibile (primo trimestre 2018) i tre Paesi appena nominati, spiega Thomson Reuters, hanno visto il proprio Sovereign Fragility Index crescere rispetto a livelli che di per sé erano già piuttosto elevati tanto da riportare alla mente non tanto il 2013 (anno in cui si iniziò appunto a parlare dei «5 fragili»), ma addirittura il 1994. Allora una serie di rialzi dei tassi aggressivi (e in larga parte inattesi) da parte della Federal Reserve favorì il rientro dei capitali finanziari verso gli Stati Uniti e provocò un’ondata di crisi sul debito sovrano che si diffuse come un virus attraverso le economie emergenti.

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L'indice di fraglilità (Sovereign Fragility Index). (Fonte: Thomson Reuters Datastream/Fathom Consulting)

I segnali preoccupanti della curva dei tassi turchi
Desta francamente poco stupore vedere la Turchia fra le aree più a rischio: il progressivo deterioramento della situazione politica all’interno del Paese, culminato nelle ultime ore con la sostituzione del ministro dell’Economia Mehmet Simsek per far spazio a Berat Albayrak (genero del presidente Recep Tayyip Erdogan) e con un cambiamento della legge che regola la locale Banca centrale rendendola così maggiormente soggetta al potere presidenziale, si inserisce in una situazione già di per sè piuttosto delicata a livello economico. Il fatto che la curva dei tassi dei titoli di Stato turchi si sia invertita (i bond dalle scadenze più brevi rendono più di quelli a più lunga durata) è un ulteriore segnale di come la tensione alle stelle si sia del tutto trasferita ai mercati.

C’è forse più sorpresa per le posizioni di Sudafrica e Russia, tuttavia in questo frangente - come rileva Thomson Reuters - è la traiettoria ascendente dell’indice di fragilità a creare preoccupazione e a rendere questi due Paesi potenzialmente più pericolosi di Brasile o Argentina. Così come non sfugge che in testa alla classifica virtuale dei più rischiosi a livello di fondamentali economici rimanga la Grecia, come avviene ormai da quasi 10 anni a questa parte.

Il peso del “Whatever it takes” di Draghi
Il grado di rischio ellenico appare però ormai da tempo stabilizzato e, per dirla con le parole degli analisti «non c’è da preoccuparsi almeno finché l’atteggiamento del “faremo tutto il possibile” della Bce di Mario Draghi non cambierà in modo significativo». Un ragionamento, quest’ultimo, che si estende probabilmente all’Italia, ritenuta meno fragile di tutti questi Paesi (e anche di Spagna e Portogallo) nonostante le incertezze che ci circondano. Non siamo certo la Germania, che non a caso per il Sovereign Fragility Index vale”zero”, ma ci difendiamo.

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