Più soia e più gas dagli Stati Uniti. È soprattutto su queste promesse che poggia la tregua sui dazi che l’Europa ha strappato a Donald Trump. Ma l’entusiasmo con cui quest’ultimo ha descritto le prospettive di esportazione americane non convincono.
L’Unione europea non può rimuovere nessuna barriera al commercio di queste due materie prime, semplicemente perché non ce ne sono. E non si vede come possa imporre – o anche solo favorire – una crescita degli acquisti dagli Usa.
Il Vecchio continente in realtà ha già accelerato le importazioni di soia americana, ma solo perché il suo prezzo è diventato più conveniente da quando la Cina la sta snobbando. Per gli stessi motivi è improbabile che il gas liquefatto dagli Usa riesca a guadagnare grandi quote di mercato in Europa, a meno che non diventi un’opzione economicamente vantaggiosa. Oggi non è così e difficilmente le cose cambieranno.
GUARDA IL VIDEO / Tregua Trump-Junker, accordo sui dazi
Con l’enfasi che lo contraddistingue Trump sta già cantando vittoria. «Rappresentanti dell’Unione europea – ha twittato – mi hanno detto che inizieranno immediatamente a comprare semi di soia dai nostri grandi agricoltori. E compreranno anche grandi quantità di Gnl!»
Sui mercati agricoli la reazione è stata quantomeno tiepida. A Chicago i semi di soia sono balzati di circa il 2% a inizio seduta, ma hanno poi chiuso con un rialzo marginale, intorno a 860 cents/bushel, sempre vicini ai minimi decennali. A offrire sostegno ai prezzi sembra in realtà essere stato l’andamento dell’export americano, la settimana scorsa superiore alle attese. Ma nessuno si aspetta un drastico cambio degli scenari di mercato.
Pechino ha imposto pesanti dazi sulla soia «made in Usa» e ora sta comprando soprattutto dal Brasile. I carichi americani (almeno finché costano poco) vanno altrove. Ma la Ue non potrà mai compensare la perdita dei clienti cinesi: le nostre importazioni – circa 15 milioni di tonnellate l’anno in tutto – sono meno di un sesto di quelle cinesi. Solo dagli Usa Pechino l’anno scorso ha comprato 33 milioni di tonnellate di soia.
Anche in campo energetico a Washington converrebbe di più scommettere sulla Cina. Il fabbisogno di gas del colosso asiatico sta crescendo a ritmi vertiginosi da quando il Governo è impegnato a contenere l’impiego di carbone per tutelare l’ambiente.
Pechino, con importazioni di Gnl in aumento di oltre il 40%, ha già conquistato il podio di primo acquirente mondiale, strappando uno storico primato al Giappone. E promette di acquistare sempre di più, da qualunque Paese. Non è probabilmente un caso che il Governo cinese abbia minacciato dazi sul petrolio, ma non sul Gnl Usa.
Pechino in effetti negli ultimi tre mesi ha comprato pochissimi carichi di gas liquefatto americano. Ma dal 2016, quando gli Usa hanno iniziato a esportare, la Repubblica popolare è stata una delle mete principali delle forniture. Lo stesso non si può dire dell’Europa.
Cheniere Energy, la prima società ad avviare l’export, ha inviato solo 29 carichi nella Ue su un totale di 373. Il motivo è semplice: in Asia il gas liquefatto non solo è più richiesto, ma spunta quasi sempre prezzi più alti.
Nel Vecchio continente ci sono molte forniture via gasdotto e la Russia in particolare (ma non solo) è in grado di praticare prezzi decisamente competitivi: 3,5-4 dollari per MBtu, stimano gli analisti di Aton, a fronte di un prezzo di breakeven per il Gnl americano (compreso il trasporto) di 6-7,5 $/MBtu.
Per affrancarsi dai ricatti di Mosca alcuni Paesi dell’Est Europa, come Polonia e Lituania, stanno costruendo rigassificatori e firmando contratti di fornitura con società Usa. Ma altrove, nonostante l’interesse politico per il Gnl americano, non ci sono grandi spazi di crescita. In media i rigassificatori Ue sono stati utilizzati al 27% della capacità l’anno scorso (contro il 73% di quelli cinesi) e anche nel Gnl la competizione è forte, soprattutto da parte del Qatar.
© Riproduzione riservata