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Cresce la tensione sui mercati, il rischio Italia spinge lo spread

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titoli di stato

Cresce la tensione sui mercati, il rischio Italia spinge lo spread

(Marka)
(Marka)

I nervi sui mercati sono tesi. L’attenzione alle prime mosse economiche dell’Esecutivo Conte è forte. È per questo che nel giorno in cui è in agenda il primo vertice di Governo per definire la Manovra d’autunno, lo spread tra BTp e Bund decennali vola in mattinata fino a 268 punti base. Crescendo di 38 punti in soli due giorni. Ed è per lo stesso motivo che il rendimento dei BTp biennali è balzato ieri in poche ore mattutine di 40 punti base (fino a toccare quota 1,36%). Poi il clima si è un po’ calmato durante la giornata: lo spread ha infatti chiuso a 252 e il rendimento dei BTp biennali è calato a 1,05%. E il comunicato stampa uscito ieri sera dal ministero dell’Economia (dal quale si evince che il Governo intende procedere gradualmente con flat tax e reddito di cittadinanza) potrebbe sedare gli animi ulteriormente. La giornata di ieri dimostra però che i nervi sono tesi. Che basta poco per infiammare gli investitori.

Il motivo di tanta tensione è evidente parlando con qualunque investitore: la Manovra d’autunno è percepita sui mercati come la cartina di tornasole per capire le vere intenzioni del Governo non solo sulle politiche economiche, ma soprattutto sui rapporti che l’Italia vuole tenere con l’Europa in tema economico. Questo è il punto dolente per gli investitori internazionali. Il mercato teme infatti che una Manovra aggressiva e uno scontro violento con Bruxelles possano riesumare le tentazioni no-euro e che possano prima o poi spingere davvero l’Italia fuori dalla moneta unica. Questo è il vero fantasma che spaventa gli investitori. Ogni minimo segnale che questo possa anche lontanamente accadere, crea dunque scompiglio. Ovviamente il mercato a questa ipotesi assegna basse, bassissime, probabilità. Ma non nulle. Questo mantiene una vaga ansia. E tiene lo spread oggi oltre 100 punti più alto rispetto al periodo pre-contratto di Governo.

Molti investitori hanno per questa incertezza ridotto l’esposizione sui nostri titoli di Stato negli ultimi due mesi. In attesa di schiarite. Lo dimostrano i numeri del mercato. Dal 15 maggio (data della prima bozza di contratto di Governo) i BTp decennali hanno aumentato il rendimento da 1,91% a 2,93%: questo significa che i prezzi sono scesi e che i nostri BTp devono offrire un punto di interessi in più rispetto a due mesi fa per attirare acquirenti.

Nello stesso lasso di tempo i rendimenti dei titoli decennali spagnoli sono saliti di soli 13 centesimi (da 1,32% a 1,45%), quelli dei titoli portoghesi di soli 8 centesimi (da 1,70 a 1,78%). Invece i rendimenti dei Bund tedeschi sono calati da 0,61% a 0,41%. Questi numeri dimostrano che un allargamento degli spread è comune a tutti i Paesi (a causa anche delle tensioni internazionali su dazi e altro), ma anche che per l’Italia l’allargamento è molto maggiore. Un caso-Italia, insomma, c’è. E la Manovra d’autunno sarà la cartina di tornasole per capire se le preoccupazioni siano fondate oppure no.

Il comunicato di ieri sera del ministero dell’Economia (che ha effettuato un buyback per 950 milioni sui titoli di Stato) sembra suggerire di no. Quindi potrebbe ridurre l’ansia notevolmente già oggi. Il problema è che l’aumento che lo spread ha registrato negli ultimi mesi ha già iniziato a colpire i bilanci delle banche, dato che detengono 353 miliardi di titoli di Stato. Tutte le banche in questi giorni stanno annunciando, nei conti trimestrali, un’erosione del capitale di maggiore qualità (Core Tier 1) a causa dell’aumento dello spread tra BTp e Bund. Ieri Ubi ha comunicato un impatto - causa spread - di 56 punti base: il capitale Core Tier1 resta abbondante (11,78%), ma un’erosione c’è stata. Idem il Banco Popolare: il capitale Cet1 è stato eroso di di 84 punti base, pur collocandosi ugualmente a 12,9%. Nel mondo assicurativo, Cattolica ha annunciato un’erosione di quasi 40 punti. E nei giorni scorsi altre banche e istituzioni finanziarie avevano comunicato effetti più o meno forti.

Fino ad ora questo non crea reali problemi alle banche, che hanno in generale un cuscinetto di capitale sufficiente. Ma alla lunga, se la situazione dovesse peggiorare, gli effetti potrebbero esserci. Se il capitale si indebolisce troppo, le banche sono infatti costrette a ricapitalizzarsi o a chiudere i rubinetti del credito. Per ora non sta accadendo, come ha confermato l’amministratore delegato di Mps, Morelli: «Per il momento non assistiamo ad alcun rallentamento dei nuovi prestiti per lo spread». Se il cauto comunicato del Mef si tradurrà effettivamente in una manovra non troppo aggressiva, allora questi effetti potremmo evitarli del tutto.

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