È scoppiata la «Guerra delle concessioni». L’ha dichiarata lo Stato contro Atlantia, società privata della famiglia Benetton che controlla Autostrade per l’Italia: dopo la tragedia di Genova il Governo Conte minaccia di revocare la concessione autostradale alla famiglia veneta. Per decenni le infrastrutture (specie se in concessione pubblica) sono state l’investimento difensivo per antonomasia, ora sono improvvisamente diventate un terreno minato: tonfo del 22,2% a Piazza Affari(dopo un picco a -25%) di Atlantia e 5 miliardi di euro vaporizzati.
Il Day After politico dell’incidente più grave d’Italia in tempo di pace dalla tragedia del Vajont, è un braccio di ferro pubblico-privato dove sono stati bruciati anche una buona fetta di risparmi degli italiani. È il mercato, ma anche le conseguenze del “Trumpismo all’italiana” incarnato dal Governo giallo-verde. I Benetton, da 20 anni gestori in concessione delle autostrade, sono diventati la «bestia nera» di Palazzo Chigi che li accusa di fare profitti alimentati da costosi pedaggi e scarsa manutenzione delle strade. A torto o ragione, ogni decisione su Atlantia si riflette anche sugli stakeholder: solo il 30% della società è in mano ai Benetton, il 70% è diviso tra decine di investitori, soprattuto esteri, da GIC, il fondo sovrano di Singapore alla banca HSBC, fino alla Fondazione CRT. Un 22% delle azioni di Atlantia è in mano ad azionisti italiani: tra questi anche molti cassettisti entrati all’epoca della privatizzazione.
Dentro la stessa Autostrade per l’Italia sono entrati l’anno scorso altri investitori stranieri: il 12% circa della concessionaria è in mano al colosso assicurativo tedesco Allianz e al fondo cinese Silk Road. Una platea senza responsabilità dirette sulla tragedia, ma che di fronte all’incertezza, fa quello che sa meglio fare: vendere e scappare dal paese. Reazione emotiva comprensibile, ma forse eccessiva: è possibile che quella del Governo Conte sia una posizione più negoziale che reale, per costringere Atlantia a una mega penale (forse 500 milioni, metà utili di un solo anno del gruppo): la revoca della concessione è politicamente molto appealing sull’elettorato, ma una strada giuridicamente molto complessa e rischia, come dimostrato ieri, di scatenare anche un effetto fuggi fuggi dei capitali stranieri, iper-sensibili alla certezza del diritto.
Di qui il massiccio sell-off su Atlantia, che ha avuto un effetto contagio su tutto il settore (penalizzate anche Sias e Astm le concessionarie della famiglia Gavio) e l’intera Piazza Affari (-1,8%). Le scosse telluriche sono arrivate fino alla Spagna: alla Bolsa de Madrid le azioni ACS, il colosso delle costruzioni di Florentino Perez, più noto per essere il patron del Real Madrid, sono scivolate dell’1,97%: un’eventuale revoca potrebbe complicare il matrimonio con le autostrade spagnole di Abertis, la scalata italo-iberica che farebbe di Atlantia il primo concessionario al mondo.
Più dell’azionario, molto più volatile e soggetto all’effetto moltiplicatore degli algoritmi e del trading automatico, è probabilmente il debito l’indicatore : il bond Atlantia in scadenza nel 2027 è sceso a 95, prezzo che non sconta nessun scenario di default. La posizione in stile «The Donald» del Governo, che già in serata sembra aver attutito i toni dopo aver anche incassato un atout dall’Unione Europea sulla responsabilità di Atlantia nella manutenzione, ha fatto la fortuna degli speculatori: gli short-seller, i venditori allo scoperto (senza possedere fisicamente il titolo), ieri si sono mossi in modo pesante. «Posto che l’incidente c’è stato e che Atlantia dovrà pagare un risarcimento, il Governo avrebbe dovuto muoversi con maggiore cautela» commentava ieri un investitore. Sull’impero dei Benetton, reinventatisi da signori della moda a signori delle infrastrutture, con annessi benefici da monopolio naturale, si è abbattuta la più pesante tegola della loro storia. A Villa Minelli, quartier generale, studiano le contromosse: per la prossima settimana convocati due cda straordinari (Aspi e Atlantia), dovranno dare le risposte che politica e mercato aspettano.
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