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Perché la fine del Qe non è la fine del mondo

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L'Analisi|L’Analisi

Perché la fine del Qe non è la fine del mondo

La Bce ha recentemente confermato la volontà da parte delle banche di concedere prestiti e dall'altra parte l'esistenza di una forte domanda di credito. Ottimo, a maggior ragione perché l'opinione pubblica tende ad attribuire i meriti di questa tendenza al Quantitative easing (Qe), ignorando che una riduzione del Qe è sempre seguita da una maggiore erogazione di crediti! È in arrivo una gran bella sorpresa nel momento in cui il QE terminerà e aumenteranno i prestiti delle banche.

L'indagine della Bce dello scorso luglio sull'attività creditizia delle banche ha portato buone notizie a profusione. Sono 149 gli istituti di credito che nel secondo trimestre hanno reso più flessibili i propri standard per la concessione di prestiti alle aziende e alle famiglie. Ci si aspetta che questo numero salga ulteriormente nel terzo trimestre. Anche le banche italiane hanno seguito questa tendenza. I non-performing loans (Npl) non costituiscono più una seccatura così importante.

La concorrenza sta spingendo le banche ad ammorbidire i propri criteri per l'erogazione di prestiti e a concederli a un numero più elevato di soggetti. Anche la domanda è solida. Agli imprenditori che cercano di far crescere la propria attività servono capitali, che ora possono ottenere in misura sempre maggiore. Si tratta di uno scenario molto promettente in termini di crescita.

I media danno il merito al Quantitative easing (Qe) che, con il suo “stimolo” pari a 2,5 mila miliardi di euro, starebbe finalmente dando i suoi frutti. In realtà ignorano che la Bce ha iniziato a ridurre il Qe da più di un anno. Quindi, una maggior volontà a concedere prestiti coincide proprio con una diminuzione del Qe! Proprio come accaduto negli Stati Uniti nel 2014, quando la Federal Reserve fece altrettanto.

Come ho scritto nel mio articolo del 4 luglio, il Qe comporta un effetto depressivo, non stimolante: ha aiutato le banche a risanare i propri bilanci, ma non ad aumentare l'erogazione di credito, soprattutto in Italia! Le banche hanno semplicemente accumulato risorse mentre la curva dei rendimenti si appiattiva, riducendo la loro marginalità (le banche contraggono prestiti a breve termine, li concedono a lungo termine e guadagnano sulla differenza tra i due). La fine del Qe dovrebbe aiutare la curva dei redimenti a impennarsi – come accaduto negli Usa e nel Regno Unito. Una minore pressione sui tassi d'interesse a lungo termine permetterà alle banche di erogare prestiti con maggior entusiasmo, e la situazione è destinata a migliorare ancor di più quando la Bce porrà fine a quella assurdità dei tassi d'interesse negativi.

Adoro la cecità dei media verso l'inutilità del Qe. Mi piace quando affermano che i suoi effetti positivi siano stati ritardati e si stiano manifestando soltanto adesso. Questo dimostra quale sia l'opinione diffusa in merito, e lasciano intravedere quale sorpresa ci sarà con il boom dei prestiti post-QE. Le buone notizie, se si vogliono cogliere, sono sotto la luce del sole. Di qui l'opportunità di detenere nel propri portafoglio i titoli azionari delle banche prima che anche gli altri aprano gli occhi.

Siccome i mercati si muovono sul divario esistente tra aspettative e realtà, acquistate laddove l'opinione pubblica è più scettica – qui in Italia ma anche in Spagna. In Italia la crescita dei prestiti alle famiglie è debole. I prestiti alle aziende sono in negativo. Entrambi i dati sono negativi in Spagna. Per questo motivo le principali banche di entrambi i Paesi conservano un grande potenziale effetto sorpresa. Per quanto concerne l'Europa del Nord, anche nei Paesi Bassi la concessione di prestiti è bassa. In Francia la crescita del credito è maggiore rispetto a quella tedesca, eppure molti continuano a ritenere che l'economia francese sia debole.

Ken Fisher è presidente di Fisher Investments Europe e presidente esecutivo di Fisher Investments

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