Sul mercato europeo dell’energia si è innescata una temibile spirale rialzista, che minaccia non solo di aumentare il costo delle bollette, ma anche di intralciare la transizione verso un futuro a zero emissioni. Un paradosso, ora che finalmente il prezzo della CO2 si è risvegliato dopo anni di torpore, quasi triplicando da gennaio e volando al record dal 2008.
I permessi per l’anidride carbonica nello schema Eu-Ets proseguono il rally (ora valgono più di 21 euro per tonnellata). E anche il carbone è sempre più caro, addirittura ai massimi da 5 anni nel Vecchio continente, dove il contratto di riferimento (Api2, cif Ara, consegna 2019) ieri si è spinto fino a 93,60 $/tonn, mentre i carichi per il prossimo mese scambiano a oltre 100 $. Ma nonostante tutto non ci sono ancora le condizioni per costringere le centrali più sporche a chiudere.
Se le tendenze permangono, potrebbero mettere il turbo alle fonti rinnovabili. Ma quest’estate il clima in Europa ha giocato a sfavore dell’eolico (c’è stato poco vento) e dell’idroelettrico (troppo caldo e secco). Quanto al gas – combustibile ponte verso la decarbonizzazione – il cosiddetto switch nella generazione elettrica non riesce ad avvenire.
La CO2 dovrebbe raggiungere almeno 30-35 €/tonnellata, secondo gli esperti, perché anche i prezzi del gas stanno correndo troppo: sui principali hub europei sono ai massimi storici, se non si tiene conto delle brevi impennate occasionali, come quella di marzo legata al freddo polare o quella dello scorso dicembre, dopo l’esplosione al terminal di Baumgarten.
Al Ttf olandese ieri il prezzo day ahead ha raggiunto 26,50 €/MWh (day ahead), in Italia al Punto di scambio virtuale (Pvs) ha superato 28 euro.
Per il gas così come per altre fonti di energia, il rally della CO2 contribuisce a lle tensioni sul mercato. Ma pesano anche la forza dei consumi – legata in parte alle temperature estive elevate, che hanno fatto accendere i condizionatori in tutta Europa – e parecchie difficoltà di approvvigionamento: dopo le manutenzioni subite da diversi importanti gasdotti, ora è sopravvenuto il guasto di due impianti in Norvegia, che fino a settembre inoltrato ridurrà l’offerta di gas di oltre 10 milioni di metri cubi al giorno.
I rialzi del petrolio, con il Wti che ieri è tornato a superare 70 $/ barile e il Brent sopra 77 $, preparano intanto il terreno per un rincaro del gas anche nei contratti di fornitura indicizzati, sempre meno frequenti, ma comunque tuttora largamente impiegati dai russi (per ora Gazprom resta molto competitiva e le sue esportazioni verso Ue e Turchia continuano a crescere: +5,6% nei primi 8 mesi dell’anno, ha segnalato ieri il ceo Alexei Miller, a 133,3 miliardi di mc).
La stessa elettricità sui mercati all’ingrosso europei scambia quasi ovunque a prezzi da primato – in Italia il Pun è vicino a 70 €/MWh, in rialzo del 40% rispetto alla primavera scorsa – aiutando a difendere i profitti delle utilities, comprese quelle che bruciano grandi quantità di carbone. E non è tutto.
Almeno due dei maggiori responsabili per le emissioni di CO2 nella Ue, con centrali che vanno persino a lignite – le tedesche Rwe e Uniper – hanno anche effettuato operazioni di hedging, che ora le schermano da eccessivi danni economici e dunque allontanano l’urgenza di convertirsi a fonti più pulite.
© Riproduzione riservata