Dopo il martedì di passione, che ha visto il titolo perdere in Piazza Affari più del 5%, Telecom ha accennato un timido rimbalzo alla riapertura della Borsa. Restano ben lontani i livelli raggiunti questa primavera quando le quotazioni erano salite fino a 87 centesimi sull'onda degli acquisti di Elliott e Cdp e di chi aveva creduto che con il cambio di governance e un consiglio indipendente il valore sarebbe stato recuperato. Così non è stato, almeno finora: il titolo anzi è solo sceso, toccando il fondo ai 52 centesimi che hanno riportato indietro il calendario di cinque anni.
Telecom è a sconto almeno del 25% rispetto ai multipli di Borsa del settore. Tuttavia secondo gli analisti di Exane – che martedì hanno dato il tono alla seduta da dimenticare massacrando il target price a 38 centesimi – il titolo è destinato a restare racchiuso in una “trappola di valore”, frustrando le scommesse degli investitori a caccia d'affari che puntano a chiudere il gap.
La giustificazione portata, in sostanza, è che Telecom ha solo da perdere davanti a una concorrenza agguerrita che si è riaccesa nel mobile e si è affacciata nel fisso. Per un ex monopolista il gioco obbligato è la difesa. Ma qui il problema va oltre la concorrenza con la quale tutti gli operatori di mercato sono tenuti a confrontarsi. Il vero “nodo” è proprio quella governance da public company impossibile che ha preso forma con il ribaltone del cda non accompagnato da un riassetto dell'azionariato.
L'azionista di maggioranza relativa è rimasto Vivendi, con la sua quota del 23,94% del capitale ordinario che si colloca appena sotto la soglia dell'Opa, pari per Telecom al 25%. Elliott denuncia tuttora il possesso dell'8,8%, ma ha protetto con un derivato (un “collar”, che è un mix di opzioni a comprare e vendere) solo il 4,9%, assicurandosi la possibilità di cedere le azioni Telecom a 81 centesimi, rispetto ai 75 centesimi pagati per acquistarle inizialmente. Segno che, come logico per un fondo per quanto “attivista”, la posizione di Elliott non è quella di un socio di riferimento bensì quella di un “normale” investitore di mercato, che oggi c'è e domani chissà.
E poi c'è Cdp che ha messo assieme un pacchetto del 4,9%, senza mai dichiarare né perché né per come e senza essere rappresentata in consiglio. L'ad è rimasto Amos Genish, il manager isrealiano voluto dal gruppo francese che fa capo a Vincent Bollorè, e così il piano strategico che ha un orizzonte a tre anni, senza però fissare (almeno pubblicamente) le tappe annuali che permetterebbero al mercato di monitorarne l'avanzamento.
Il problema è che i francesi di Vivendi sono finiti in minoranza in consiglio (cinque consiglieri, incluso l'ad, sui 15 totali), ma nessun azionista può pensare di scalzarli se non lanciando un'Opa, visto che per superarne il peso nell'azionariato senza provocare una spaccatura tra due blocchi contrapposti – che ingesserebbe del tutto l'azienda – occorrerebbe superare anche la soglia del 25%. L'Opa sarebbe comunque molto onerosa visto che – se la capitalizzazione delle azioni ordinarie Telecom è scesa ad appena 8 miliardi – rilevare il controllo della compagnia telefonica significherebbe anche farsi carico del debito che, al netto della liquidità, ammonta ancora a 25 miliardi. Così nessuno interviene e si assiste al paradosso di un titolo a forte sconto, bersagliato dalle vendite che nessuno osa contrastare.
La concorrenza non può essere in assoluto il problema, tant'è che altrove gli ex monopolisti delle tlc hanno dovuto affrontarla ben prima di Telecom, anche nel fisso con gli operatori via cavo che in Italia non ci sono mai stati. Iliad, che comincia a mostrare affanno in Francia dove si è imposto come operatore low cost, ha da poco esordito in Italia con offerte promozionali, volte a conquistare quote di mercato (per poi gestirle), che – secondo stime di settore – comportavano inizialmente una perdita dell'ordine di 5 euro al mese per ogni contratto stipulato. Tant'è che se l'obiettivo di raggiungere quota 2 milioni di abbonati è già alla portata per metà mese, Iliad in Italia ha contabilizzato al 30 giugno una perdita netta di 31 milioni.
Tuttavia, la ripresa della pressione al ribasso sui prezzi della telefonia mobile ha costretto gli attori consolidati del mercato – Telecom ma anche Vodafone – a ricorrere all'espediente di creare “sottomarche” per vendere servizi a prezzi ribassati, cosa che, se permetterà di arginare la perdita di clienti, avrà comunque un impatto sui ricavi complessivi. Nel fisso c'è Open Fiber (joint Enel-Cdp) che ha appena chiuso l'operazione di finanziamento del suo progetto di costruire una rete in fibra ottica, ma si tratta di una concorrenza infrastrutturale che ci metterà anni – se non ci sarà un ripensamento dell'architettura di sistema (è come avere due autostrade parallele) – a costituire un'alternativa nazionale alla rete Telecom.
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