Il prossimo futuro di Astaldi si deciderà domani, in una riunione tra le società e le banche creditrici convocata per fare il punto sulla situazione dopo un periodo piuttosto teso per la compagnia. Il titolo è crollato a 1,188 euro, aggiornando nuovi minimi, mentre il prezzo del bond da 750 milioni con scadenza al 2020 è sceso a poco più del 44% del valore nominale mentre a maggio viaggiava attorno a 90. Numeri che sono lo specchio di una situazione che si è fatta via via sempre più critica, complice l’instabilità degli scenari economici e politici della Turchia. I tempi dilatati per la cessione del terzo Ponte sul Bosforo hanno infatti bloccato, per il momento, la necessaria realizzazione dell’aumento di capitale da 300 milioni. Manovra, quest’ultima, che fa parte di un più ampio progetto di rafforzamento patrimoniale del valore complessivo di 2 miliardi. Come è noto, senza la valorizzazione dell’asset turco di fatto non scatta la garanzia di Jp Morgan sulla parte di aumento potenzialmente inoptata, ossia 150 milioni considerato che la quota restante dovrebbe venir sottoscritta dai soci storici (la famiglia Astaldi) e dalla giapponese Ihi.
Di qui la richiesta delle banche creditrici, tra le quali UniCredit, Intesa Sanpaolo, Banco Bpm e Bnp Paribas, di valutare una strada alternativa che metta al sicuro l’azienda e i suoi creditori. In quest’ottica, una delle opzioni al momento sul tavolo sarebbe il ricorso a un accordo di ristrutturazione dei debiti. In particolare, secondo la disciplina dell’articolo 182-bis, che prevede il raggiungimento di un’intesa di tipo negoziale, ma con garanzie costituite da una verifica e un’omologa del tribunale. Il progetto deve essere gradito ad almeno il 60% dei creditori, considerando anche i privilegiati, e normalmente si utilizza sia per liquidare l’impresa che per continuare l’attività.
La mancata realizzazione in tempi rapidi della prospettata iniezione di liquidità da 300 milioni ha generato nuove esigenze di cassa, oltre a quella già preventivate dal precedente piano, che hanno messo in allerta le banche. Per certi aspetti pronte ad aprire nuovamente i cordoni ma solo di fronte a un piano che venga asseverato. Ecco perchè un’altra delle ipotesi al vaglio è il ricorso all’articolo 67 della legge fallimentare, procedura stragiudiziale alternativa al 182 bis. Più nel dettaglio, il piano attestato permette di ottenere l’esenzione da revocatoria per pagamenti, atti e garanzie. Viene concesso se idoneo al risanamento dell’esposizione debitoria e ad assicurare il riequilibrio finanziario. Ad attestarlo deve essere un professionista che non deve essere legato all’impresa da rapporti personali o professionali rilevanti.
Qualche settimana fa Astaldi, a valle di alcune indiscrezioni di stampa, aveva chiarito di non aver «ricevuto alcuna richiesta di operare ai sensi dell’art. 67 del RD n. 267/1942». Allo stesso tempo, aveva confermato che «le trattative relative alla vendita degli asset legati alla concessionaria del Terzo Ponte sul Bosforo» fossero «in fase avanzata». Ricordando, in particolare, che «nei mesi di luglio ed agosto» si sono tenuti diversi incontri «con la finalità di definire un’offerta vincolante in tempi ragionevoli, pur tenendo conto dei recenti accadimenti che stanno interessando la Turchia».
A questo punto la palla è di fatto nel campo di China Merchant Bank che, affiancata da un partner turco, è al lavoro per presentare una proposta vincolante sull’asset. Il tempo stringe e nessuno esclude che China Merchant Bank possa concedere essa stessa la finanza di cui Astaldi ha bisogno in attesa della finalizzazione dell’operazione in Turchia. Si vedrà. Di certo l’incontro di domani potrebbe segnare una tappa chiave del prossimo futuro di Astaldi, le cui problematiche si inseriscono in un quadro comunque particolarmente complesso per il settore delle costruzioni in Italia.
Basti ricordare la vicenda di Condotte, attualmente in mano a tre commissari, o a quella di Trevi. Lo stesso vertice di Salini-Impregilo ha recentemente commentato che la crisi del settore nel paese «è l’effetto di troppe regole e della mancanza di certezze». D’altra parte, guardando i dati di bilancio più recenti, emerge anche che quasi tutte le grandi società hanno un rapporto tra indebitamento e margine operativo lordo ben superiore a 1. In alcuni casi il valore supera pure le tre volte.
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