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Petrolio a 80 dollari. Tutti i motivi del rialzo del Brent

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LA CORSA DEL BARILE

Petrolio a 80 dollari. Tutti i motivi del rialzo del Brent

Arabia Saudita e Russia non si sono piegate alle ultime minacciose richieste di Donald Trump. E il petrolio ha ripreso a correre, salendo ai massimi da oltre quattro anni. Alla riapertura dei mercati dopo gli incontri di Algeri, il Brent si è impennato di quasi il 3%, arrivando a sfiorare 81 dollari al barile. Diversi Paesi Opec, insieme alla Russia e ad alcuni altri alleati esterni che hanno sostenuto il piano di tagli produttivi del gruppo, si sono riuniti domenica per valutare le condizioni del mercato e hanno concluso che per ora non ci sono i presupposti per accelerare ulteriormente le estrazioni di greggio.

«Il mercato è ben rifornito», ha affermato il ministro saudita Khalid Al Falih. «Il nostro piano consiste nel soddisfare la domanda. Il motivo per cui non aumentiamo di più l’offerta è che i nostri clienti stanno già ricevendo tutti i barili che desiderano». Riad in ogni caso prevede di aumentare le forniture: a settembre la produzione è già più elevata dei 10,4 milioni di barili al giorno estratti ad agosto, ha detto Al Falih. E il prossimo mese salirà ulteriormente. «Abbiamo visto che la domanda sarà più alta a ottobre. Se arriverà a 10,9 mbg potete stare sicuri che la soddisferemo, ma ora è di 10,5-10,6 mbg».

I timori sul livello della domanda sono comprensibili, secondo molti analisti, nello scenario di guerra commerciale Usa-Cina. Ma gli investitori sono ora concentrati soprattutto sull’allarme relativo alle forniture iraniane. Le carenze potrebbero rivelarsi tali da spingere il prezzo del barile a 100 dollari, hanno avvertito durante un convegno nel fine settimana i ceo di Trafigura e Mercuria, due tra le maggiori società di trading al mondo.

Donald Trump – preoccupato dal rally del barile in vista delle sanzioni contro l’Iran (e delle elezioni americane di mid-term) – giovedì aveva intimato per l’ennesima volta all’Opec di agire al più presto per frenare i rincari. «Il monopolio dell'Opec deve abbassare i prezzi ora!», aveva scritto Trump via Twitter, ricordando con tono minaccioso che la sicurezza del Medio Oriente dipende dagli Stati Uniti.

L’Iran, in polemica con l’eccessiva accondiscendenza dimostrata in passato dai sauditi e da altri produttori del Golfo Persico, aveva disertato la riunione di Algeri. Ora il suo ministro del Petrolio, Bijan Zanganeh, canta vittoria: «Gli Usa cercano, anche solo per un mese, di ridurre a zero l’export petrolifero iraniano. Ma quel sogno non diventerà realtà», è stato il suo commento all’indomani degli incontri.

Il saudita Al Falih ha respinto i sospetti di essere condizionato da ingerenze americane. Lo stesso ha fatto il rappresentante degli Emirati Arabi Uniti, come al solito allineato sulle posizioni di Riad: «Non siamo preoccupati delle pressioni esterne – ha detto Suhail Al Mazrouei – La nostra non è un’organizzazione politica».

L’umore del mercato è comunque tornato rialzista. A meno di due mesi le forniture di greggio dall’Iran stanno crollando e il collasso dell’industria petrolifera venezuelana sembra inarrestabile. Contro Caracas potrebbero arrivare anche ulteriori sanzioni americane. A ventilarlo è stato il segretario di Stato Mike Pompeo, in un’intervista a Fox News venerdì: «Penso che nei prossimi giorni vedrete una serie di azioni che continueranno ad accrescere il livello di pressione sulla leadership venezuelana».

È salito anche l’allarme geopolitico, dopo l’attentato di sabato in Iran, che ha ucciso 25 persone durante una parata militare nella città di Ahvaz. Teheran ha indicato come responsabili occulti gli Stati Uniti e Israele e ieri ufficiali della Guardia rivoluzionaria iraniana hanno minacciato una vendetta «devastante».

Il rinnovato vigore del rally del petrolio dipende anche da questo tipo di tensioni.

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