Accuse reciproche sotto i riflettori, accordi di collaborazione dietro le quinte. È attraverso un complesso intreccio di relazioni che i tre colossi mondiali dell’energia – Stati Uniti, Russia e Arabia Saudita – stanno cercando di manovrare il mercato del petrolio, mentre le quotazioni del barile viaggiano al record da 4 anni, sopra 85 dollari per il Brent.
Da Mosca, dove ha inaugurato la Russian Energy Week , il presidente Vladimir Putin ieri non ha risparmiato critiche nei confronti di Trump, che da settimane non perde occasione per scaricare sull’Opec e sui suoi alleati la responsabilità del rally: «Pensa che il prezzo del greggio sia alto e in parte ha ragione – ha concesso Putin – ma siamo onesti. Donald, devi guardarti allo specchio se vuoi trovare il colpevole dei rincari». Il riferimento, come ha chiarito lo stesso capo del Cremlino, è alle sanzioni contro l’Iran , ai «problemi politici» in Venezuela e alle vicende in Libia, dove «lo stato è distrutto, come risultato di politiche irresponsabili che hanno un impatto diretto sull’economia globale».
Se le parole sono taglienti, la Russia sui mercati petroliferi sta però giocando dalla parte degli americani. La sua produzione di greggio è salita a 11,70 milioni di barili al giorno a settembre, un nuovo record post-sovietico. Da giugno, quando con l’Opec ha deciso di fare marcia indietro sui tagli produttivi, Mosca ha messo sul mercato altri 400 mila bg e ora che le forniture dall’Iran stanno crollando è pronta – parola di Putin – ad offrirne altri 200-300mila.
Ancora più diligente l’Arabia Saudita, che in risposta agli appelli della Casa Bianca è arrivata a pompare 10,7 mbg , come ha detto ieri il ministro Khalid Al Falih dal convegno moscovita, il massimo da novembre 2016 e un aumento di quasi 700mila bg da giugno, che sommato a quello russo supera il milione di bg che i due Paesi avevano promesso. Anche Riad però è finita nel mirino delle polemiche di Trump, che durante un comizio elettorale martedì sera se l’è presa con re Salman, con cui pochi giorni fa aveva parlato al telefono, proprio di petrolio. «Adoro il re Salman –ha raccontato il presidente – ma gli ho detto “Caro re ti stiamo proteggendo, senza di noi non dureresti per due settimane, devi pagare le spese militari».
Gli argomenti sono gli stessi utilizzati negli ultimi messaggi anti-Opec. Eppure nei fatti la collaborazione (petrolifera, benintenso) c’è eccome. Usa, Arabia Saudita e Russia hanno persino concluso un patto segreto per attutire l’impatto sul mercato delle sanzioni contro Teheran, rivela la Reuters, probabilmente imbeccata proprio dagli interessati. I ministri dell’Energia dei tre Paesi, com’è noto, si sono incontrati più volte nella prima metà di settembre e secondo le fonti dell’agenzia il saudita Al Falih e il russo Alexander Novak avrebbero garantito a Washington un ulteriore aumento della produzione Opec-non Opec da 500mila bg. Il piano è però riuscito solo a metà: alla riunione di Algeri del 23 settembre Mosca e Riad non sono riuscite a far convergere gli altri Paesi della coalizione e l’annuncio – che forse avrebbe potuto frenare il rally del petrolio – è saltato. Il prezzo ha continuato a correre e anche ieri Brent e Wti hanno aggiornato i record, rispettivamente a 85,90 e 76,13 dollari al barile.
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