Sanzioni all’Iran e guerre dei dazi non stanno aiutando il petrolio «made in Usa». Le esportazioni di greggio dagli Stati Uniti stanno diminuendo, tanto che nella settimana di Ferragosto si sono addirittura ridotte ai minimi da gennaio: 1,155 milioni di barili al giorno, secondo l’Eia, la metà rispetto ai livelli da primato di fine giugno.
La qualità dei barili americani non consente, se non in minima parte, di compensare la perdita di forniture iraniane, come forse Donald Trump avrebbe sperato: a risultare vincenti sono piuttosto la Russia (il prezzo dell’Urals, sour come gli iraniani, si è spinto ai massimi da 7 mesi), ma anche l’Arabia Saudita e l’Iraq, che hanno fortemente accelerato la produzione.
Nel frattempo Washington, a causa delle dispute commerciali, sta perdendo terreno soprattutto sul mercato che finora si era rivelato più promettente per lo shale oil, quello cinese.
Le importazioni di Pechino sono rimaste fiacche anche dopo che il Governo ha rinviato l’introduzione di tariffe sul petrolio Usa. E la svolta nei negoziati sul Nafta – con un accordo sul rinnovo che almeno col Messico sembra imminente – non è una piattaforma abbastanza solida per rilanciare davvero i sogni di egemonia energetico dell’amministrazione Trump: il Canada è già il maggiore acquirente di petrolio dagli Usa e il Messico è primo nell’import di gas, ma in entrambi i casi non ci sono grandi spazi di crescita, di certo non paragonabili alle prospettive che offrirebbe la Cina.
Il gigante asiatico non sembra aver rinunciato del tutto a colpire il petrolio americano. L’ultima lista di dazi, in vigore da giovedì scorso, comprende diversi prodotti derivati, dal propano al diesel. E il greggio (così come il gas liquefatto) potrebbe tornare nel mirino alla prossima tornata di ritorsioni, tutt’altro che improbabile dopo l’ennesimo fallimento dei negoziati, in seguito al quale Washington il prossimo mese potrebbe imporre ulteriori tariffe per ben 200 miliardi di dollari.
I raffinatori cinesi comprensibilmente non si fidano. A settembre, secondo le rilevazioni delle petroliere effettuate da Reuters,le importazioni di greggio dagli Usa ammonteranno a 204mila barili al giorno di greggio americano, il minimo da marzo, contro i 363mila bg sbarcati ad agosto e il record di 470mila bg di giugno. Le voci secondo cui Unipec avrebbe ripreso gli acquisti non si tradurranno necessariamente in un aumento dell’import: il colosso cinese, secondo alcuni trader, starebbe comprando per conto di committenti stranieri.
In gioco ci sono anche considerazioni economiche: la Cina è sempre stata opportunista sui mercati e ora che lo sconto del Wti sul Brent si è ridotto l’arbitraggio non è più favorevole come in passato. Ma la politica ha un ruolo cruciale.
Pechino non solo sta accelerando gli acquisti dal Medio Oriente (compreso l’Iran) e dall’Africa, ma sta anche stringendo nuovi accordi per forniture di lungo periodo: Zhenhua Oil, compagnia statale che rifornisce molti piccoli raffinatori, sarebbe vicina a firmare un contratto con la Somo, società che commercializza il greggio iracheno, scrive la Reuters.
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