La notiza del declassamento di Moody’s era già abbondantemente scontata dai mercati. Meno il fatto che l’agenzia ci riservasse la clemenza di mantenere stabile l’outlook. Una decisione, quest’ultima, motivata con i punti di forza che ancora l’Italia conserva. Tra questi l’agenzia cita ad esempio «l’economia ampia e diversificata» del nostro Paese, il «surplus della bilancia commerciale», lo stabile «flusso di investimenti internazionali» nonché «l’elevata ricchezza privata». E’ in particolare su quest’ultimo punto che Moody’s si sofferma segnalando il fatto che il patrimonio delle famiglie rappresenta «un’importante valvola di sicurezza per lo Stato e, potenzialmente, «una fonte di finanziamento per il governo».
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I numeri d’altronde parlano chiaro. Lo Stato italiano ha un debito pubblico molto elevato ma anche una ricchezza privata tra le più alte al mondo. Il patrimonio netto delle famiglie italiane, calcola l’Ocse, è pari 5,56 volte il reddito medio disponibile. Meglio di noi ci sono solo Stati Uniti, Giappone, Belgio e Olanda.
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Elaborando i dati Bankitalia Unimpresa calcola che, a settembre 2017, la ricchezza privata delle famiglie italiane ammontava a 4290 miliardi di euro. Il grosso di questo tesoro (circa 1400 miliardi) risulta parcheggiato in conti correnti e depositi. Il resto è investito in azioni (991), obbligazioni (456), fondi comuni (517) e riserve assicurative (993).
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Un vero e proprio tesoro di cui ha parlato di recente anche lo stesso vicepremier Matteo Salvini. «La forza dell'Italia - ha dichiarato - è un risparmio privato che non ha eguali al mondo. Per il momento è silenzioso e viene investito in titoli stranieri. Io sono convinto che gli italiani siano pronti a darci una mano».
Smentita ipotesi patrimoniale
Queste parole sono state interpretate in vario modo. Molti vi hanno letto il segnale che il governo si prepara a fare una
patrimoniale e sui social network è partita l’ironia sull’oro alla patria di mussoliniana memoria. Dall’esecutivo si sono
affrettati a smentire ogni ipotesi in questo senso e anche ieri sia il premier Conte che Salvini e Di Maio hanno ribadito il loro no a un’ipotesi di questo tipo. Una smentita comprensibile. Una mossa del genere avrebbe un’impatto elettorale disastroso per due partiti ancora affamati
di consenso in vista delle europee. Un prelievo forzoso come lo fece Amato nel 1992, non è all’orizzonte. E anche se fosse
nei piani dell’esecutivo non verrebbe annunciato ai quattro venti ma attuato e basta.
Incentivi agli acquisti di BTp
La strategia dell’esecutivo è semmai un’altra e fa perno sui cosiddetti CIR, i conti individuali di risparmio. Uno strumento che, sulla scia dei fortunati Pir, dovrebbe spingere gli italiani a tornare a investire in titoli di Stato
italiani sulla scorta anche di importanti agevolazioni (fiscali e non) che il governo è pronto a garantire.
Riportare le famiglie italiane a comprare BTp d’altronde potrebbe contribuire non poco a stabilizzare lo spread. Soprattutto in un contesto come quello attuale in cui i grandi investitori stranieri, titolari di circa il 30% del debito in circolazione, stanno riducendo pesantemente la loro esposizione in BTp (da maggio ad oggi il saldo con l’estero è negativo per oltre 66 miliardi).
Non si può tuttavia pretendere che le famiglie fideisticamente decidano in massa di aderire ai Cir. Come qualunque altro creditore anche un privato cittadino deve potersi fidare del suo creditore. Anche se si tratta dello Stato italiano. Ad oggi non si vede la corsa dei risparmiatori ai BTp. Anzi, stando a molte segnalazioni arrivate a Il Sole 24 Ore da private banker e gestori patrimoniali, si riscontra un fenomeno opposto.
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