L’Arabia Saudita non ha «nessuna intenzione» di usare il petrolio come un’arma, mettendo in atto un embargo come quello del 1973. Al contrario. Riad, assicura il ministro dell’Energia Khalid Al Failh, si appresta ad aumentare ulteriormente la produzione di greggio, dagli attuali 10,7 milioni di barili al giorno a 11 milioni ed è pronta a salire ancora – «se necessario» – fino alla massima capacità di 12 mbg.
A pochi giorni dalle prime ammissioni sulla morte di Jamal Khashoggi nel consolato saudita di Istanbul, Al Falih prova a sgombrare definitivamente il campo dal timore che i sauditi possano provocare uno shock petrolifero come ritorsione a eventuali sanzioni Usa, tuttora invocate da molti politici americani, anche se Donald Trump ha ammorbidito i toni.
«Per decenni abbiamo usato la nostra politica petrolifera come uno strumento economico responsabile e isolato dalla politica», ha dichiarato il ministro in una lunga intervista all’agenzia russa Tass, liquidando come un «incidente che passerà» la vicenda del giornalista ucciso nel consolato saudita di Istanbul, ancora in gran parte avvolta nel mistero.
«Lavoriamo per stabilizzare i mercati e per facilitare la crescita», assicura il ministro. «La nostra è rimasta coerente per molti anni e in passato abbiamo già sofferto crisi politiche, non è la prima volta».
Le rassicurazioni del saudita hanno contribuito a raffreddare ulteriormente le quotazioni del barile, che hanno perso oltre l’1%, aggiornando i minimi da 5 settimane, sotto 80 dollari nel caso del Brent e sotto 70 dollari nel caso del Wti.
Il ministro saudita ha comunque evitato di essere eccessivamente ribassista, sottolineando che il rischio di un’impennata del greggio oltre 100 dollari dal barile non è del tutto scomparso dall’orizzonte: «Non posso garantire (che non accada, Ndr), perché non posso prevedere che cosa succederà agli altri produttori».
L’Arabia Saudita, insieme alla Russia e agli Emirati arabi uniti, ha aumentato rapidamente l’output, ma proprio questo potrebbe creare problemi in futuro, spiega al Falih:. «Abbiamo una capacità produttiva di riserva relativamente limitata e ne stiamo usando una porzione significativa».
«L’Arabia Saudita a ottobre estrae a un livello di 10,7 mbg, posso dirvi che se necessario possiamo salire a 12 mbg. Questo ve lo assicuro. Ma se spariscono 3 mbg non possiamo coprire questo volume, dobbiamo usare le scorte». Tra i rischi Al Falih ricorda le sanzioni Usa contro l’Iran, ma anche «il potenziale declino in vari Paesi, come la Libia, la Nigeria, il Messico e il Venezuela», solo in parte bilanciati dal rischio di una frenata della domanda, che pure – riconosce il saudita – esiste eccome, per via delle tensioni commerciali e sugli emergenti.
Portare la capacità saudita a 13 mbg è un’opzione allo studio. Ma richiederebbe investimenti extra per 20-30 miliardi di dollari, afferma Falih, lanciando una nuova, velata minaccia al mercato. «L’Arabia Saudita ha bisogno di essere apprezzata e sostenuta, che ci sia un riconoscimento del fatto che svolge un nobile compito per il resto della comunità globale».
L’intervista della Tass spazia anche sul futuro della collaborazione tra Arabia Saudita e Russia. Al Falih spera di riuscire a formalizzare l’Opec Plus come organizzazione permanente al prossimo vertice del 6-7 dicembre, in modo da avere in piedi fin da gennaio un meccanismo per «ribilanciare il mercato ogni qualvolta sia appropriato», aumentando o viceversa tagliando la produzione di greggio. Si sta pensando anche ad istituire un segretariato a parte per i Paesi non Opec, sempre a Vienna.
Riad e Mosca contano di rafforzare l’alleanza bilaterale anche con investimenti incrociati. Sibur (società petrolchimica controllata da Novatek, Ndr) è una «società interessante», dice Al Falih. «Una joint venture Sibur-Aramco è una possibilità».
Riad ha anche avanzato alla stessa Novatek una proposta per investire in Arctic Lng 2. «Abbiamo espresso interesse, ora dobbiamo metterci d’accordo sui termini», riferisce il ministro, specificando che i sauditi intendono «entrare con una partecipazione importante» perché Aramco «sarà un player di primo piano nel mercato globale del gas liquefatto».
Quanto a Rosneft, il gigante russo del petrolio, «lo swap di greggi e di prodotti è una naturale area di cooperazione».
© Riproduzione riservata