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Pressing degli Usa per rinviare le regole sui carburanti navali

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Servizio |imo 2020

Pressing degli Usa per rinviare le regole sui carburanti navali

(Afp)
(Afp)

L’ossessione di Donald Trump per il caro benzina non si sfoga solo con raffiche di tweet contro l’Opec. Gli Stati Uniti stanno anche provando (a dire il vero con scarse probabilità di successo) ad annacquare Imo 2020, la normativa che tra meno di due anni vieterà l’impiego dei combustibili più “sporchi” nel settore marittimo: una rivoluzione che promette grandi benefici per l’ambiente, ma per cui si temono serie ripercussioni economiche, tra cui un aumento dei prezzi alla pompa, che guarda caso si verificherebbe proprio in vista delle prossime elezioni presidenziali Usa.

Nel 2016 Washington aveva votato a favore della delibera con cui l’International Maritime Organization (Imo), un organismo delle Nazioni Unite, fissava al 1° gennaio 2020 l’entrata in vigore dei nuovi limiti per le emissioni di zolfo dei combustibili bunker. Ora ha cambiato rotta, chiedendo un’implementazione più graduale delle norme

La nuova posizione è stata ufficializzata ieri a Londra, all’apertura dei lavori del Comitato per la protezione dell'ambiente marino dell’Imo. Gli Usa, come da anticipazioni del Wall Street Journal, hanno appoggiato una mozione avanzata da Bahamas, Liberia, Panama e Isole Marshall (tutti Paesi noti per offrire bandiere di comodo agli armatori), con cui si chiede una «fase di costruzione di esperienza»: in pratica un periodo di applicazione transitorio, volto a valutare l’impatto delle misure che dal 2020 ridurranno allo 0,5% (dall’attuale 3,5%) il contenuto massimo di ossidi di zolfo nei carburanti marittimi.

Per continuare a usare il vecchio fuel oil l’unica possibilità (costosa e finora poco praticata) è installare uno scrubber, una specie di mega-catalizzatore. Le navi di nuova costruzione possono anche optare per il Gnl o altri carburanti alternativi. Altrimenti resta il gasolio, per cui si temono carenze e forti rincari, che potrebbero trasmettersi a tutto il comparto dei distillati (compreso il diesel per auto) e provocare tensioni extra anche sulle quotazioni del greggio.

Non solo. L’inevitabile aggravio dei costi per gli armatori – almeno il 25% in più solo per i carburanti, stima Wood Mackenzie, ossia 24 miliardi di dollari – potrebbe essere trasmesso a valle, fino ai consumatori finali, attraverso un aumento dei prezzi delle merci trasportate via mare.

Un rinvio o anche solo un’applicazione graduale di Imo 2020 sembra comunque fuori discussione, nonostante il peso politico degli Usa. Per cambiare le regole è tardi: le procedure dell’Imo (e la necessità di modificare anche la convenzione Marpol, in base alla quale la Ue e altri Paesi hanno già limiti ancora più rigidi per le emissioni di zolfo) richiederebbero tempi lunghi, che andrebbero oltre il 1° gennaio 2020.

Washington in ogni caso non ha trovato molti alleati: per ogni Paese a favore della sua proposta ce ne sono 4-5 contrari, sostiene Michelle Bockmann, analista di ClipperData che sta seguendo i lavori a Londra.

Anche i raffinatori americani si sono schierati contro la Casa Bianca: «Sono dieci anni che ci diamo da fare per prepararci a Imo 2020 e fino alla settimana scorsa francamente non avevamo mai sentito parlare di una fase di costruzione di esperienza – si è lamentato Chet Thomson, ceo di American Fuel & Petrochemicals Manufacturers – Ci ha preso in contropiede, suona come un messaggio in codice per cercare un rinvio delle regole».

La rivoluzione verde dello shipping sembra comunque destinata a provocare scossoni. Le stime appena aggiornate dall’Aie e presentate ieri all’Imo indicano un fabbisogno extra di 1,265 milioni di barili al giorno di gasolio per le navi, a fronte di una capacità sufficiente a produrne solo 1 mbg.

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