«È evidente che se lo spread veleggia verso quota 400 gli attivi delle banche vanno in sofferenza ed è necessaria la ricapitalizzazione». Con le quotazioni delle banche nei giorni scorsi in difficoltà (soprattutto Mps e Banco Bpm) e con lo spread BTp-Bund salito fino a 324 punti base, non possono che tornare in mente quelle parole pronunciate dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti due giorni fa a «Porta a Porta». Tornano in mente perché sembra quasi che i mercati vogliano testare quel livello di 400 punti base sullo spread. E vogliano vedere cosa accadrebbe alle banche. Dal 15 maggio gli istituti di credito italiani hanno perso in Borsa quasi 44 miliardi di capitalizzazione, arrivando tutti insieme a valere a Piazza Affari non molto più di quanto la spagnola Banco Santander vale da sola sul listino di Madrid: 85 contro 65 miliardi. E il calo continua. Solo nella giornata di ieri l’indice bancario a Piazza Affari ha perso il 3,31%, portando a 38% il ribasso da metà maggio.
Guardando dietro il polverone di Borsa, bisogna dunque porsi qualche domanda: quanto soffrono davvero le banche italiane? Quanto soffrirebbero qualora davvero lo spread BTp-Bund arrivasse a 400 punti? Per rispondere a queste domande «Il Sole 24 Ore» ha incrociato i calcoli di vari analisti (quelli di Credit Suisse, Deutsche Bank e Fidentiis) e si è confrontato con molti esperti. E la conclusione è a metà strada tra chi si allarma e chi sta sereno. Da un lato anche a 400 punti base le maggiori banche italiane sono in grado di stare in piedi (solo Mps già soffre a 300). Dunque nessun allarme imminente. Almeno a livello di grandi istituti. Dall’altro “stare in piedi” non basta per fare attività bancaria: il rischio è quindi che la perdita di patrimonio a causa dello spread, anche se non così grande da rendere necessari aumenti di capitale a catena, freni comunque la loro capacità di erogare credito a famiglie e imprese. E crei un effetto domino. Per questo il ministro Tria ha detto che questo livello di spread non può essere mantenuto a lungo.
Il problema nasce dal fatto che le banche italiane hanno nei loro bilanci 372 miliardi di titoli di Stato italiani secondo Bankitalia. Se lo spread sale, significa che questi titoli perdono di valore. E questo va ad erodere il capitale delle banche stesse. Paragonando una banca ad un palazzo, erodere il capitale significa indebolire le sue “fondamenta”. Quelle che lo tengono in piedi. Mediamente ogni 100 punti base di aumento dello spread va a ridurre il capitale di buona qualità delle banche italiane (Cet1) di 35 punti base. Nel solo primo semestre 2018 le prime sei hanno messo in conto un impatto di 3,13 miliardi di euro sul loro Cet1 proprio a causa del deterioramento dei BTp. Calcola Credit Suisse che ogni 100 punti di spread equivalgano a 2,84 miliardi di capitale Cet1 bruciato. Lo spread fa dunque molto male. Molto.
Il punto è però capire se questa erosione delle “fondamenta” sia tale da compromettere la tenuta delle banche stesse. Cioè se lo spread a 400 sia in grado di ridurre il loro capitale sotto le soglie minime indicate dalla Bce per ogni istituto. Le banche hanno due soglie minime: la prima (cosiddetta phase-in) è stimata in base alla legislazione attualmente vigente, la seconda (cosiddetta fully loaded) è calcolata come se la legislazione che entrerà in vigore nei prossimi anni fosse già oggi operativa. La Vigilanza Bce guarda la prima soglia, non la seconda (che è più elevata). E questo è il punto importante: perché la prima non verrebbe intaccata neppure se lo spread andasse a 400 punti. Secondo i calcoli di Deutsche Bank, per scendere sotto questa soglia phase-in (e dunque per rendere obbligatorio un aumento di capitale) lo spread BTp-Bund dovrebbe salire a 2.100 punti base per Intesa Sanpaolo, a 1.341 per UniCredit, a 1.192 per Banco Bpm, a 926 per Mps, a 957 per Ubi, a 1.182 per Credem e a oltre 9mila per Mediobanca. Livelli insomma ben lontani. E a numeri più bassi ma simili nel concetto arriva anche l’analisi di Fidentiis.
La seconda soglia (quella fully loaded) verrebbe invece sfondata molto prima. Secondo i calcoli di Deutsche Bank già con uno spread a 318 punti (livello attuale) Mps la rompe. Banco Bpm la sorpasserebbe con lo spread a 488 punti. Ubi a 731. E le altre sopra i mille punti. Non ci sono numeri su Carige. Sebbene questa seconda soglia non sia quella guardata dalla Bce, il suo sfondamento un impatto potrebbe comunque averlo. Perché il mercato lo noterebbe. E anche la Bce stessa. Questo potrebbe mettere sotto pressione qualche banca. A partire da Mps. E potrebbe creare stress sull’intero settore. Morale: lo spread elevato come oggi magari non è letale, ma di danni ne fa molti. Non solo sulle banche, ma su imprese e famiglie: un Paese composto da miriadi di Pmi che solo in banca trovano i capitali necessari per andare avanti, non può permettersi istituti creditizi deboli.
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