Con lo spread BTp-Bund a 300 e una possibile procedura d’infrazione della commissione Ue contro l’Italia sul debito pubblico, il sistema finanziario italiano resisterebbe all’apertura di una nuova crisi bancaria? No, è la risposta che si sono date le principali banche che hanno deciso di far scattare il salvataggio d’urgenza di Carige da parte dello schema volontario del Fondo Interbancario di Garanzia. Dopo le centinaia di milioni bruciati dal fondo Atlante e i recenti interventi del Fondo interbancario in alcune casse di risparmio, era stato detto: mai più un euro delle banche private sarà versato per difendere gli istituti di credito in crisi, sarà caso mai lo Stato - come nel caso di Mps - a farsene carico.
A far cambiare idea ai vertici del sistema bancario hanno concorso una serie di valutazioni. Innanzitutto il costo finanziario: i circa 320 milioni necessari per Carige corrispondono a un impegno pro-quota delle singole banche di pochi milioni a testa. L’impegno è teoricamente a tempo, perché la ricapitalizzazione che Carige effettuerà a marzo dovrebbe servire a rimborsare l’anticipo dei fondi erogati dal sistema bancario. Ma è evidente che oggi nessuno è in grado di prevedere come il mercato risponderà alla richiesta di 400 milioni di mezzi freschi. In caso di insuccesso della ricapitalizzazione, l'intervento delle banche tramite il fondo diventerebbe stabile. Ed è facile prevedere che, in tal caso, la spinta a far confluire Carige in un gruppo più grande sarebbe immediata poiché non avrebbe senso che una banca sia controllata stabilmente da un pool di istituti concorrenti.
A fronte di un costo limitato, secondo molti banchieri, i benefici per il sistema sono evidenti guardando ai rischi che stava correndo Carige. Il primo: se entro fine dicembre la banca non avesse collocato un bond subordinato da oltre 200 milioni per ripristinare i ratios patrimoniali minimi chiesti da Bce, l’istituto avrebbe rischiato di finire in resolution. Bond impossibile da collocare, dato l’attuale rischio Italia e il rating CCC+ di Carige, sul mercato e/o tra i grandi soci. Con tutto quello che ne consegue in termini di effetto contagio sull’intero sistema.
Il secondo rischio evitato è quello collegato a un eventuale flop del successivo aumento di capitale. In assenza della “sostanziale” garanzia del fondo, cosa sarebbe successo a primavera a Carige in caso di insuccesso della ricapitalizzazione? Di nuovo: resolution o aumento di capitale precauzionale, con burden sharing, da parte dello Stato. Nel pieno della campagna elettorale per le elezioni europee, il Governo italiano si sarebbe trovato a negoziare con la Ue un piano di salvataggio con aiuti di Stato dai tempi e dall’esito incerto. Con il rischio di una nuova tempesta sull'intero sistema bancario domestico. Se per spegnere un nuovo focolaio di crisi bastano 300 milioni, è il pensiero di molti banchieri, meglio che il sistema se ne faccia carico rapidamente.
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