Confermato l’addio al Qe a dicembre, mentre sui tempi di rialzo dei tassi ci potrebbero essere slittamenti se le prospettive di inflazione dovessere essere riviste al ribasso. In occasione dell'ultima riunione di ottobre, il consiglio direttivo della Bce ha convenuto di mantenere invariata la forward guidance che prevede la fine del Qe a dicembre e tassi sui livelli attuali almeno fino all'estate 2019. Tuttavia la politica monetaria rimane strettamente legata ai dati e pertanto in caso di un calo della liquidità o di un peggioramento dell’outlook dell'inflazione vi potrebbe essere «un aggiustamento del percorso previsto per l'aumento dei tassi». Lo ha detto Mario Draghi nel corso di un intervento allo European Banking Congress a Francoforte. «La natura di questa forward guidance è dipendente dagli sviluppi economici e pertanto agisce come uno stabilizzatore automatico. Se le condizioni finanziarie o monetarie dovessero diventare indebitamente più restrittive o se l'outlook dell'inflazione dovesse peggiorare, la nostra “reaction function” sarebbe ben definita. Questo a sua volta dovrebbe essere riflesso in un aggiustamento del percorso previsto per l'aumento dei tassi di interesse».
«La mancanza di un consolidamento fiscale nei Paesi con alto debito pubblico - ha detto Draghi - aumenta la loro vulnerabilità agli shock, sia che questi siano prodotti autonomamente mettendo in questione le regole dell’architettura dell'Unione Europea che siano importati attraverso un contagio finanziario. Sino ad ora l’aumento degli spread è stato in larga misura limitato al primo caso e il contagio fra Paesi è stato modesto». «Questi sviluppi si traducono in condizioni più restrittive per i finanziamenti bancari all’economia reale. A oggi, sebbene un qualche riprezzamento al rialzo dei prestiti bancari si sia verificato laddove l’aumento degli spread è stato più significativo, nel complesso i costi complessivi dei finanziamenti bancari rimangono vicini ai minimi storici nella maggior parte dei Paesi, grazie a una base di depositi stabili. Per proteggere le famiglie e le imprese dall’aumento dei tassi, i Paesi ad alto debito non dovrebbero aumentare ulteriormente il loro debito e tutti i Paesi dovrebbero rispettare le regole dell’Unione».
«Voglio sottolineare - ha proseguito il presidente della Bce - come completare l’unione economica e monetaria è diventato più urgente con il tempo e non meno, e questo non solo per i ragionamenti economici sempre sottesi nei miei discorsi ma anche per preservare la costruzione europea». «Per prepararmi a questo mio ultimo discorso in questa sede - ha detto Draghi - ho riletto il discorso che pronunciai qui nel novembre del 2011. Allora avevo detto che la crisi economica avrebbe richiesto un passo più rapido del processo di rafforzamento dell'unione monetaria...Da allora il lavoro fatto è stato notevole ma è ancora lontano dall'essere finito. Il completamento dell’unione bancaria in tutte le sue dimensioni, inclusa la riduzione del rischio e l'avvio di una unione dei mercati dei capitali mediante l'implementazione a partire dal 2019 delle iniziative in atto è diventata ora una questione altrettanto urgente di come lo furono i primi passi nella gestione della crisi dell'area euro sette anni fa. L'urgenza oggi non è dettata da una crisi economica che abbiamo affrontato con successo ma perché rappresenta la miglior risposta alle minacce che vengono rivolte alla nostra unione monetaria: a queste minacce, la risposta è solo quella di una maggiore Europa».
(Il Sole 24 Ore Radiocor Plus)
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