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La guerra delle Borse: perché banche e broker si fanno il listino in…

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La guerra delle Borse: perché banche e broker si fanno il listino in casa

(AP)
(AP)

Le “borse” delle banche, i cosiddetti “Internalizzatori sistematici” crescono. È l’effetto della Mifid2 sugli assetti dei listini nel Vecchio continente. La prova dell’andamento la offre Be Consulting. La società di consulenza ha analizzato il cambiamento del numero di “Internalizzatori sistematici” (Is) nel periodo a cavallo del mese di settembre. Cioè il termine entro cui le banche e gli istituti finanziari dovevano, se ricompresi nei parametri definiti dalla direttiva Ue, dichiararsi per l’appunto “internalizzatori sistematici”.

La crescita in numeri
Da metà anno a inizio ottobre 2018, il numero delle “borse” delle banche è aumentato del 28%. In particolare si è passati da 109 a ben 140 “Is”. Si tratta di numeri importanti confermati anche più sul lungo periodo. Nel 2010, anno che può considerarsi “significativo” rispetto al consolidamento degli effetti della precedente direttiva (la Mifid1), gli “Internalizzatori sistematici” erano solamente 32. Insomma: nel giro di otto anni, anche grazie all’ultima accelerazione, sono più che quadruplicati.

La «Borsa» in Banca
Al di là dei numeri, quale il significato del cambiamento? Per rispondere è dapprima necessario ricordare cos’è un “internalizzatore sistematico”. Si tratta, a ben vedere, di una piattaforma interna a un istituto finanziario (di solito una grande banca). Una “borsa” dove lo stesso istituto, usando strumenti finanziari di sua proprietà (“proprietary trading”), esegue l’ordine di compravendita ricevuto dal cliente. Nel passato una simile attività era definita dalla legge in maniera solo qualitativa. La Mifid2, al contrario, prevede dei criteri oggettivi e quantitativi, ad esempio sul numero degli scambi realizzati con i titoli di proprietà, che se superati obbligano l’istituto finanziario (nell’ipotesi in cui il titolo in oggetto non venga trasferito su di un mercato regolamento) ad indossare la casacca del “Systematic internaliser”. «Con il che - spiega Anna Kunkl, partner di Be Consulting - è stato fatto emergere, in linea all’obiettivo generale della direttiva di pretendere maggiore trasparenza nei mercati, una situazione esistente». Insomma: il significato della nuova situazione starebbe, da una parte, «nel volere ridurre l’incidenza dell’Over the counter; e, dall’altra, di consentire una migliore disclosure per simili operazioni».

Sennonché la realtà delle cose è più complicata. Diversi esperti sottolineano che la maggiore trasparenza sulle compravendite è parziale. Gli obblighi di disclosure, ad esempio nel pre-trade dei bond, scattano solamente per i titoli quotati, liquidi e oggetto di ordini inferiori a determinati controvalori. Condizioni, questa è la critica, piuttosto stringenti che di fatto limitano l’applicazione del regime di maggiore trasparenza. Certo: la progressiva applicazione agli “Internalizzatori” della “best execution dinamica”, che «richiede - come ricorda Tullio Grilli, capo del brokerage elettronico di Banca Akros - l’informazione in tempo reale dell’operatività», può aiutare ad aumentare il livello di trasparenza. E tuttavia il compromesso raggiunto, anche sotto pressione delle lobby finanziarie, non può dirsi ottimale.

La crescita a Londra
Ma non è solamente una questione di trasparenza. Altro dato della ricerca di Be Consulting è che, a livello geografico, tra gli “internalizzatori” la Gran Bretagna fa la parte del leone(39% di market share). C’è da stupirsi? Evidentemente no. La City è uno dei più importanti hub finanziari al mondo. Tra le molteplici realtà finanziare non pochi, facendo soprattutto leva sui minori costi dovuti al fatto che la compravendita non transita per un mercato tradizionale, hanno deciso di assumere il ruolo di “Is”. Di qui il “boom” made in England. Ciò detto, però, pochi reggeranno la concorrenza dei soliti big. E non solo. A fronte delle incertezze della Brexit le banche vorranno (o saranno costrette a) spostare la loro sede per non perdere l’operatività sui prodotti finanziari dell’Ue. Una mossa che richiede investimenti non da tutti sostenibili. «Con il che - afferma Grilli - è facile prevedere il consolidamento nel settore».

La rivoluzione delle direttive Ue
Fin qui alcune considerazioni sugli “Internalizzatori”. La Mifid2 però, rispetto alle sedi di esecuzione, ha introdotto molteplici novità. Un’evoluzione dei listini dove, da un lato, sono comparsi i broker che incrociano gli ordini di terzi (“Organised trading facility”); e, dall’altro, prosegue la sfida tra i mercati regolamentati (le Borse “storiche”) e le piattaforme alternative (“Multilateral trading facilities”). Insomma: un mondo sempre più articolato.

Addio alla «concentrazione degli scambi»
Già, articolato. Ma di cosa si sta parlando? Per comprendere la situazione bisogna fare un passo nel passato. Specificatamente al 2007 quando è entrata in vigore la Mifid1. La direttiva, tra le altre cose, ha stabilito il superamento della cosiddetta “concentrazione degli scambi”. Cioè: la regola secondo cui, in linea di massima, il titolo collocato sulla Borsa (tradizionale) può essere scambiato con i massimi requisiti di trasparenza ed efficienza solo su quella Borsa. Cancellata la norma, le piattaforme elettroniche alternative hanno avuto il campo libero. Le “Multilateral trading facilities” (Mtf) via via, sfruttando i minori requisiti regolamentari loro richiesti, hanno “eroso” quote di mercato ai listini storici. Tanto che l’alternativo Bats-ChiX è diventato addirittura la prima Borsa per controvalore scambiato in azioni nel Vecchio continente. I mercati tradizionali, dal canto loro, hanno reagito. La stessa Bats-ChiX, da un lato, è stata acquisita dalla Borsa globale delle merci (il Cboe di Chicago). E dall’altro, ad esempio, il London stock exchange si è comprato l’alternativo Tourquoise. Insomma: è nata la sfida tra sedi di esecuzione, di cui si parla poco, agevolata peraltro dallo sviluppo tecnologico dei listini stessi.

È chiaro, infatti, che senza un’infrastruttura hi tech diffusa l’espansione delle piattaforme di scambio sarebbe, perlomeno, più difficoltosa. Anche e soprattutto nell’Over the counter. Proprio rispetto a quest’ultimo fronte la Mifid2 ha introdotto un’altra novità: gli “Organised trading facilities” (Otf). La loro definizione avviene in maniera “residuale”. Vale a dire: tutto ciò che non è riconducibile agli Mtf o agli “internalizzatori” può ricadere sotto l’ombrello degli Otf. Si tratta, a ben vedere, dei broker che si organizzano il loro mercato. Una piattaforma dove l’intermediario incrocia lui le diverse proposte di negoziazione. Da inizio anno, sempre secondo Be Consulting, ne sono “spuntati” ben 72. Inutile dire che la City di Londra è protagonista: in Uk ci sono 58 Otf.

Analogamente agli “internalizzatori” è probabile che assisteremo ad una loro concentrazione. Così come è probabile sorgano discussioni sulla reale portata dei miglioramenti introdotti. Tanto per ricordare: gli “internalizzatori” non hanno stanze di compensazione. Il che può agevolare l’insorgere di problemi.

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