Venerdì la Lira turca (+1% sul dollaro) e il Peso argentino (+3,15% ) hanno concesso, sui listini Ue, un momento di tregua. La ripresa però, a fronte dei crolli degli ultimi mesi, non ha impressionato gli investitori. I quali, ascoltando l’ultima invettiva di Donald Trump che ha minacciato l’uscita degli Usa dalla Wto, hanno ricordato a loro stessi che le fonti di rischio per i mercati sono diverse. Vale a dire: non si deve monitorare, giusto o sbagliato che sia, il solo caso-Italia. Nel gioco ci sono altre carte, e altri giocatori, che possono fare saltare il banco.
1. Il Trumpismo
Una è proprio la politica protezionistica di Washington. Bank of America Merrill Lynch, in un recentissimo studio, rileva
che la guerra commerciale è di gran lunga il rischio più “sentito” dai gestori dei fondi globali (57% degli intervistati).
Il dato non stupisce. Giovedì scorso il Presidente Usa da una parte ha, per l’appunto, minacciato il ritiro dell’America dall’Organizzazione
mondiale del commercio; e, dall’altra, si è detto intenzionato ad annunciare, già la settimana prossima, dazi su 200 miliardi
di dollari di importazioni cinesi. Certo: l’ex presentatore di “The apprentice” ha abituato alle sue “boutade”. Inoltre, dopo
mille polemiche, gli Usa hanno rinnovato l’accordo commerciale con il Messico ( l’attesa è che si aggiunga il Canada). Ciò
detto, però, il comportamento imprevedibile di Trump elimina la visibilità sugli scenari futuri. In una parola crea ciò che
i mercati fuggono con forza: l’incertezza.
2. I mercati emergenti
Quell’incertezza che, è noto, caratterizza diversi emergenti . «In realtà - spiega Angelo Drusiani, esperto di Albertini
Syz - le crisi di Turchia o Argentina non sono in grado di per sé di far deragliare i mercati». Tuttavia, è il pensiero di
molti, va ricordato l’effetto “catalizzatore”. Cioè: i problemi di un “emerging” possono costituire il vento che rinfocola
la brace sotto la cenere. Un esempio? La Turchia stessa e l’Italia. Già in avvio di agosto c’è stata un’avvisaglia. Alla crisi
di Ankara si erano sommati i timori per le possibili future mosse economiche del Governo di Roma. Con il che da una parte
le banche di Piazza affari, detentrici di BTp, sono crollate (ribasso del 3,5% nella sola seduta del 10/8/2018); e, dall’altra,
lo spread BTp-Bund era balzato all’insù. È ben vero che, come mostra il rialzo del rendimento del nostro decennale (ieri al
3,25%), gli operatori ormai scontano il rischio-Italia. E tuttavia l’eventuale inasprirsi della situazione in Turchia sarebbe
un evento-catalizzatore che i ribassisti sfrutterebbero.
3. Illiquidità dei mercati dei bond
Ma non è solo questione di “emergenti”. Altro tema è la crescita dei debiti a livello globale. Il loro valore è arrivato alla
cifra di circa 237mila miliardi. Una montagna di obbligazioni a fronte della quale il mercato obbligazionario rischia di essere
illiquido. Le banche infatti, strette da regolamenti più severi, trovano poco conveniente svolgere la funzione di market maker.
«Con il che - spiega Raimondo Marcialis, ceo di Mc Advisory - non stupisce vedere posizioni in vendita di bond restare senza
compratori». È chiaro che una simile situazione, soprattutto a fronte della dinamica del nostro debito pubblico, costituisce
una fonte di rischio da monitorare.
4. Le politiche monetarie
Già, monitorare. Certamente nel radar degli operatori ci sono le banche centrali e le loro politiche monetarie. In particolare
quella della Bce. L’istituto centrale dell’Unione monetaria va via via eliminando il Qe. Ad ottobre gli acquisti di asset
scenderanno a 15 miliardi (più i re-investimenti). Poi, da gennaio, rimarranno solo questi ultimi. Inutile dire che, anche
di fronte alla scadenza delle elezioni europee, essere “orfani” del “monetadone” voluto da Mario Draghi è un’ulteriore fonte
d’incertezza. Certo: la politica monetaria resterà espansiva con i tassi “rasoterra”. E però gli investitori sono all’erta.
5. Il Paese del Dragone
Così come mantengono ben sottolineate sul loro taccuino le eventuali problematiche conseguenti alla Cina. Questo fronte, in
qualche modo, è legato a Trump e alla politica dei dazi. «È possibile - spiega Antonio Cesarano, Chief global strategist di
Intermonte Sim - che una simile strategia, seppure indirettamente, possa indurre un rallentamento dell’economia di Pechino
e, più in generale, di quella globale». Se ciò accadesse, a pagarne le conseguenze (oltre ai Paesi emergenti) sarebbe anche
e soprattutto l’Europa con i suoi mercati. Compresa l’Italia.
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