Poco prima dell’ultimo Natale (18 dicembre 2017) il Bitcoin toccava i suoi massimi in area 19.000 dollari nelle principali piattaforme (in alcune più periferiche la quotazione ha toccato anche quota 20.000). Adesso invece la criptovaluta più scambiata e chiacchierata al mondo tratta sotto i 4.000 dollari. Chi avesse puntato sui massimi - sull’onda di un momento di incredibile euforia in cui il valore delle criptovalute superava gli 800 miliardi di dollari - avrebbe oggi un passivo dell’80%. Dinanzi a questi numeri difficile: 1) sostenere che non sia stata una bolla finanziaria; 2) sostenere che non siamo nel mezzo dello scoppio di una bolla.
La prova dei fatti al momento sta dando ragione a chi, nei momenti di picco, ha mantenuto un atteggiamento profondamente scettico. Come Agustin Carstens, direttore della Banca dei regolamenti internazionali che ha definito il Bitcoin come «la combinazione di una bolla, uno schema Ponzi e un disastro ambientale».
La quotazione è certo crollata ma in ogni caso è circa il quadruplo rispetto al valore di inizio 2017 quando un Bitcoin costava meno di 1.000 dollari. Quindi al momento è presto per capire se la previsione dell’economista Noriel Roubini «il Bitcoin è un dinosauro in via d’estinzione» sarà centrata.
Certo è che gli esperti che lo profettizavano a 100.000 dollari entro fine 2018 saranno probabilmente costretti a ricredersi.
Non è in caduta solo il Bitcon ma tutte le criptovalute hanno subito una violenta correzione, che nelle proporzioni a questo punto evoca lo scoppio nel marzo del 2000 dei titoli Internet. La capitalizzazione delle criptovalute è scesa a 121 miliardi, rispetto agli 800 miliardi di inizio anno.
Anche se oggi molto anziano, forse, potrebbe aver ragione ancora una volta Warren Buffett. Qualche mese fa in tempi non sospetti diceva: «Posso dire che quasi certamente le criptovalute faranno una brutta fine, anzi, mi piacerebbe comprare opzioni put di cinque anni sulle criptovalute».
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