La scorsa settimana ha tenuto banco sui social network lo scontro, negli studi di Porta a Porta, tra il sottosegretario all’economia Laura Castelli e l’ex ministro del Tesoro Piercarlo Padoan. Tema del contendere: la correlazione tra spread e mutui. «A marzo, prima delle elezioni, lo spread era intorno ai 120 punti base - dice Padoan -. Adesso (venerdì 23 novembre, ndr) è sopra i 300 punti base. Sono miliardi in più da usare per il servizio al debito. Sono conseguenze sui depositi delle banche, sono conseguenze sui finanziamenti a famiglie e imprese.» A quel punto Laura Castelli lo interrompe: «Guardi, se lei in televisione dice che i tassi dei mutui dipendono dallo spread lo sa anche lei che è falso».
Mentre Padoan le risponde che «se aumenta lo spread diminuisce il valore capitale degli attivi delle banche e quindi le banche si devono rifare alzando il costo del finanziamento», la Castelli ribatte «Questo lo dice lei» e per sostenere le sue argomentazioni mostra un grafico pubblicato da Il Sole 24 Ore che, a suo dire, dimostrerebbe l’assenza di correlazione tra mutui e aumento dello spread. Il grafico è stato pubblicato lo scorso 4 ottobre a corredo dell’articolo “Mutui, perché non c'è correlazione tra spread BTp-Bund ed Euribor”.
L’articolo spiega che il rialzo dello spread Bund-BTp non ha un impatto sull’andamento dei tassi Euribor a cui sono indicizzati i mutui a tasso variabile. Il grafico a corredo, che è quello citato dal sottosegretario Laura Castelli, mette a confronto il grafico dello spread Bund-BTp con quello del tasso interbancario Euribor, dal quale si capisce che il rialzo dell’uno non ha influenzato le oscillazioni dell’altro. Non c’è stato alcun rincaro della rata per chi ha stipulato un mutuo a tasso variabile.
Ha ragione quindi il sottosegretario Laura Castelli quando dice che non c’è correlazione tra rialzo dello spread e costo dei mutui? Solo in parte. Basta leggere cosa l’autore Vito Lops scrive nella seconda parte del pezzo quando spiega che «lo spread BTp-Bund può avere nel medio periodo (circa sei-nove mesi) il potere di spingere le banche ad aumentare i costi dei “nuovi” mutui. Questo perché un aumento prolungato dei tassi obbligazionari può impattare sul costo di raccolta del denaro delle banche e sulla gestione della tesoreria. Questo aumento di costi può portare le banche a decidere - e questo dipende anche da scelte di marketing e commerciali - di aumentare in futuro i loro spread, quelli che applicano sui mutui e che ne rappresentano il margine lordo dell'operazione di finanziamento (a cui va aggiunto l'Euribor per calcolare la rata finale del variabile e l'indice Irs per calcolare la rata finale del mutuo a tasso fisso)».
In conclusione, se è vero che non c’è stato alcun rincaro della rata per chi un mutuo ce lo ha già, perché il tasso a cui è indicizzato (l’euribor) resta basso e la banca non può modificare lo spread applicato per contratto, è anche vero che chi oggi vuole stipulare un nuovo finanziamento (oppure vuole fare una surroga su un mutuo esistente) rischia di fare i conti con un costo del debito più alto di quanto non avrebbe potuto contrattare fino a qualche mese fa. Questo perché, come ha scritto Il Sole 24 Ore e come ha di recente certificato anche l’Abi, a partire da ottobre le banche hanno alzato gli spread sui nuovi mutui. Proprio per via dell’aumento del rischio sovrano. Per ora non si tratta di aumenti preoccupanti tali da avere un impatto serio sull’economia ma se lo spread resta alto, il rincaro sul costo del debito di famiglie e imprese rischia di farsi ben più importante. Con le conseguenze immaginabili sull’economia.
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