Qualche giorno prima di Natale (19 dicembre) la Federal Reserve guidata da Jerome Powell ha alzato i tassi di interesse Usa portandoli in un range compreso tra 225 e 250 punti base. Nel complesso si è trattato della decima stretta di fila all’interno di un ciclo di normalizzazione avviato a dicembre 2015 da Janet Yellen. L’ultimo rialzo era abbondantemente dato per scontato dagli investitori. Ma qualcosa è cambiato. Perché fino a qualche settimana fa gli stessi erano convinti che la Fed alzasse il costo del denaro almeno un paio di volte nel corso del 2019. Nelle ultime ore il vento è cambiato tanto che il 3 gennaio le probabilità di un’inversione di rotta, e quindi di un taglio dei tassi nel corso del 2019, avevano raggiunto la soglia del 50%.
Ieri, dopo la pubblicazione di dati sul lavoro spumeggianti (a dicembre il numero dei nuovi occupati negli Stati Uniti ha raggiunto 312mila unità contro le 176mila attese dal consensus) e dopo le parole dello stesso Powell («saremo pazienti nel guardare come evolverà la situazione dell'economia») le probabilità di una o più strette si sono assottigliate (sommate le varie opzioni) intorno al 30%.
Ma quel che è rilevante è che il sentiment è profondamente cambiato: lo scenario di un’inversione della politica monetaria ha superato nelle stime quello di un naturale prosieguo del ciclo di rialzi.
Anche per questo ieri Wall Street ha festeggiato con rialzi fragorosi dei principali indici, che hanno dato ulteriore slancio alla propensione al rischio delle Borse europee evidenziata nella prima parte della giornata.
Si è certo parlato più degli altri due market mover rialzisti, ovvero 1) dell’incontro vociferato tra lunedì e martedì tra Usa e Cina per proseguire il dialogo sui dazi commerciali e 2) del sopra citato dato sul lavoro negli Stati Uniti.
Ma se la Fed dovesse davvero tornare parzialmente indietro sui suoi passi per l’azionario potrebbe non essere nell’immediato una brutta notizia. L’attenzione al nervosismo dei mercati dell’ultima parte del 2018 è peraltro un tema non trascurato anche dalla politica. Lo stesso Donald Trump ha manifestato ottimismo sulla questione dazi spiegando che «i mercati azionari hanno avuto un intoppo a dicembre, ma torneranno a salire una volta che gli accordi commerciali saranno risolti».
Anche Powell non sembra indifferente alle curve di Wall Street, dato che è convinto che i mercati stiano scontando qualcosa in più rispetto a quanto è possibile ricavare dai dati, ovvero «i rischi al ribasso» dell'attività economica.
Va detto che, almeno per ora, i mercati - stimolati anche da un rimbalzo da ipervenduto e anche tecnico (da ricoperture di posizioni ribassiste) - hanno reagito molto bene al mix di market mover arrivati a pioggia ieri.
Ma nelle prossime settimane, un po’ più a freddo, e posto che dalla Fed arrivino delle dichiarazioni più compiacenti rispetto alle nuove stime degli operatori su possibili tagli, non è detto che gli investitori continuino a vedere il bicchiere mezzo pieno. Perché tagliare i tassi da un lato rende meno competitive le obbligazioni rispetto alle azioni (e quindi stimola di per sé l’appetito al rischio) ma dall’altro sarebbe la conferma che anche la Fed si stia preparando a uno scenario futuro di recessione.
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