Sono almeno 15 le banche centrali mondiali che stanno seriamente progettando di utilizzare la blockchain per creare una versione digitale delle loro valute. A rivelarlo è un recente studio del Fondo monetario internazionale (“Casting Light on Central Bank Digital Currency”), che tra le istituzioni proiettate verso l’adozione concreta di una criptovaluta nazionale indica le banche centrali di Cina e Canada, delle ricche e tecnologiche Svezia, Norvegia e Singapore, ma anche di una nutrita pattuglia di Paesi emergenti come India, Ecuador, Uruguay e persino Tunisia e Senegal.
La blockchain sta aprendo prospettive inesplorate per le istituzioni finanziarie, modificando alla radice i concetti di transazione, proprietà e fiducia. La “catena di blocchi” rappresenta infatti un registro transnazionale sicuro e condiviso da tutte le parti che operano all’interno di una rete distribuita di computer: registra e archivi tutte le transazioni che avvengono all’interno della rete, eliminando la necessità di terze parti “fidate” (come le banche commerciali o appunto le banche centrali).
Ma a muovere le banche centrali verso la blockchain non è la paura di venire tagliate fuori dalle transazioni digitali tra privati. Secondo lo studio del Fmi, le istituzioni finanziarie stanno abbracciando le nuove tecnologie per abbattere i costi e aumentare la sicurezza. «A differenza delle banconote, il denaro digitale è potenzialmente più economico e facile da utilizzare - sottolinea Eswar Prasad, docente alla Cornell University e membro della Brookings Institution - e rende più difficili l’evasione fiscale o altre attività illecite». Inoltre le banche centrali possono utilizzare questa tecnologia per migliorare la velocità e l’efficienza dei sistemi di pagamento, continua Prasad, eliminando le attuali inefficienze.
Abbracciare la blockchain creando “valute digitali” permetterebbe alle banche centrali di conservare il ruolo chiave che hanno sempre rivestito. Il rischio che corrono è infatti quello di essere tagliate fuori da tecnologie in grado di far effettuare ai privati transazioni finanziarie internazionali e istantanee. È proprio per questo motivo che «alcune banche centrali, come quelle di Singapore e Svezia, stanno pianificando l’emissione di “versioni digitali” delle loro valute per mantenere un ruolo chiave nel sistema domestico di pagamenti», spiega ancora Prasad, aggiungendo che questo è anche uno degli obiettivi di alcune delle istituzioni di Paesi emergenti come Cina e Uruguay.
Il problema della “digitalizzazione delle valute” è particolarmente sentito in Paesi come la Svezia: grazie al boom delle app per i pagamenti da smartphone, nello Stato scandinavo l’utilizzo del contante è così in declino da aver sollevato le preoccupazioni della Riksbank, la banca centrale. A Stoccolma non è raro trovare esercizi commerciali che hanno bandito completamente il contante e non accettano più pagamenti con monete o banconote. Lasciare completamente in mano ai privati le transazioni digitali è un rischio che la Riksbank non può e non vuole correre.
Diversa la motivazione delle banche centrali dei Paesi emergenti, che vedono in una “valuta digitale” la possibilità di raggiungere centinaia di milioni di persone che non possiedono un conto corrente bancario. È il caso per esempio dell’India, dove lo scorso aprile la banca centrale ha rivelato i suoi progetti per l’introduzione una valuta digitale.
La banca centrale cinese - alle prese con gli eccessi della “finanza ombra” - è una delle più risolute nello sviluppo di una valuta digitale: dopo aver fondato un inedito Digital Currency Research Institute, ha inizito a reclutare esperti in crittografia per cercare di creare un nuovo tipo di “moneta elettronica” facilmente tracciabile. Creare una valuta digitale non è però così semplice per le banche centrali.
I rischi non mancano. Innanzitutto ci sono diversi nodi tecnologici da sciogliere: il sistema deve poggiare su un’infrastruttura centralizzata o decentralizzata, modello criptovalute? Inedito è poi un modello il cui le banche centrali offrono conti correnti retail collegati alle “monete digitali” da loro emesse: il pericolo, in questo caso, è che a essere scavalcate siano le banche commerciali, percepite dai risparmiatori come meno sicure in caso di crisi.
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