Gli eccessi delle grandi banche hanno dato luogo alla grande crisi finanziaria scoppiata nel 2008. A 10 anni di distanza tuttavia la regolamentazione introdotta nelle principali economie sviluppate ha favorito un risanamento dei bilanci bancari e una generale riduzione degli squilibri. Se gli istituti di credito oggi sono messi meglio in termini di leva finanziaria (ossia il rapporto tra attivi e capitale) lo stesso non si può dire delle società non finanziarie il cui debito, a livello globale, è più che raddoppiato in 10 anni passando da 27mila a 72mila miliardi di dollari.
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Una cifra che equivale al 92% del Pil globale (era al 75% dieci anni fa). Superiore sia al debito pubblico (65mila miliardi
di dollari) sia al debito del settore finanziario (60mila miliardi) il cui aumento, che pure c'è stato nell'ultimo decennio,
è stato significativamente inferiore a quello delle società non finanziarie.
La stima è contenuta nell'ultimo rapporto sul debito globale pubblicato dall'Institute of International Finance. Un documento
in cui si certifica che, a livello globale, il debito di famiglie, imprese, banche e Stati si è attestato alla fine del terzo
trimestre dello scorso anno su un valore di 244mila miliardi di dollari. Una cifra che equivale al 318% del Pil globale.
L'aspetto più interessante del rapporto tuttavia non è nei numeri che certificano lo stato dell'arte quanto l'analisi su come,
nel corso degli ultimi 10 anni, questo debito si è sviluppato. Se è vero infatti che, dalla crisi finanziaria in poi, il debito è cresciuto in maniera generalizzata (famiglie, imprese, governi, finanza, economie sviluppate e non) è soprattutto da parte di Stati e aziende che è arrivato il contributo maggiore. Nel rapporto IIF si legge infatti che il 75% dell'incremento registrato nell'ultimo decennio sia ascrivibile a queste due
categorie.
Con una differenza: mentre nelle economie sviluppate l'aumento da 148 a 175mila miliardi di dollari è soprattutto dovuto agli
Stati, nei Paesi emergenti sono in particolare le aziende ad aver dato il maggior contributo. Da notare poi come proprio nei
Paesi emergenti l'incremento sia stato sostenuto con il controvalore del debito passato in 10 anni da 23mila 800 miliardi
agli attuali 68mila e 400. In gran parte per il contributo di quella che forse economia emergente non è più ma come tale viene
ancora classificata: la Cina.
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Dietro la grande avanzata della Repubblica popolare cinese (il cui Pil è raddoppiato in 10 anni) c'è la benzina del debito, soprattutto quello delle aziende, che oggi vale oltre tre
volte il Pil (nel 2008 era due volte). Un fatto noto che tuttavia torna d'attualità in un momento in cui l'economia mondiale
sta iniziando a dare segnali di rallentamento. In quest0 contesto lo spettro è quello di un'ondata di insolvenze. In parte
qualche segnale si è già visto lo scorso anno quando - ha segnalato il Financial Times - c'è stata un'impennata dei default
tra le aziende private con un ammontare di obbligazioni non onorate pari a 151 miliardi di yuan (22,3 miliardi di dollari).
L'aumento delle insolvenze, il cui controvalore è elevato in assoluto ma tutto sommato contenuto se rapportato alle dimensioni dell'economia cinese,
non ha avuto conseguenze sul Pil ma il fenomeno è ovviamente monitorato con attenzione dalle autorità della Repubblica Popolare
. La recente decisione di allentare il coefficiente di riserva obbligatoria delle banche immettendo liquidità nel sistema
è una misura orientata ad arginare il fenomeno. Soprattutto all'inizio di un'anno in cui andrà a scadenza la cifra record
di 6700 miliardi di yuan di debito corporate (circa 1000 miliardi di dollari).
Tra gli addetti ai lavori c'è chi tende a enfatizzare i rischi che questa situazione comporta e chi invita a ridimensionare la faccenda. Tra questi c'è Roger Aliaga-Diaz, senior economist di Vanguard, colosso mondiale del risparmio gestito: «Il debito societario cinese - spiega l'economista - è fonte di preoccupazione - ma ci sono una serie di fattori che mitigano il rischio. Uno di questi è il fatto questo debito sia detenuto principalmente da creditori domestici. Soprattutto banche che, in Cina, sono sotto il controllo pubblico. Non abbiamo dubbi che, in caso di crisi, il governo cinese utilizzi le ingenti risorse di cui dispone per arginare un'eventuale contagio. Non bisogna poi dimenticare che, a fronte di questo aumento del debito, le aziende hanno accumulato asset a garanzia e che in Cina il tasso di risparmio sia, nel complesso, molto elevato».
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