Mentre i leader di maggioranza battono la grancassa, al ministero dell’Economia tocca il compito non semplice di provare a convincere la commissione Ue sulla legittimità della soluzione tentata con il decreto attuativo del fondo risparmiatori. Oggi il ministro Giovanni Tria vola a Bruxelles per l’Eurogruppo. Ad accompagnarlo sarà come sempre il dg del Tesoro Alessandro Rivera. È lui che tiene i rapporti operativi con la prima linea tecnica della commissione, che incontrerà vis a vis dopo gli scambi a distanza dei giorni scorsi.
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Un appuntamento a cui guardano con attenzione gli stessi risparmiatori, non tutti entusiasti della linea dura lanciata dai vertici di M5S e Lega. «Salvini e Di Maio hanno ribadito che qualunque sia il giudizio della Commissione il governo erogherà i rimborsi - spiega l’associazione «vittime del salva-banche» da Vicenza -. Ma davvero ci vogliamo raccontare che con una procedura di infrazione una commissione ministeriale si prenderà la responsabilità di erogare 1,5 miliardi di euro, esponendosi a una richiesta di risarcimento di danno erariale per colpa grave dalla Corte dei conti?».
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La linea da difendere a Bruxelles è quella scritta nelle bozze del primo decreto che attua il fondo risparmiatori (Fir) da 1,5 miliardi istituito dalla legge di bilancio. La commissione, con la comunicazione recapitata a Via XX Settembre il 29 gennaio, ha contestato il fatto che la manovra non prevede, come precondizione per essere indennizzati, il riconoscimento della «vendita fraudolenta» (misselling) da parte di un giudice o di un arbitro.
Per avvicinarsi alle regole Ue, per quanto è possibile con un Dm e non con una legge, le bozze arricchiscono il ruolo della commissione tecnica di nove membri. Nel disegno originario avrebbe dovuto solo smistare e liquidare le domande. Per il decreto, invece, dovrà anche «verificare la sussistenza delle violazioni massive del Testo unico finanza che hanno causato un pregiudizio ingiusto» ai risparmiatori (articolo 7, comma 1 lettera c).
La stessa esigenza di andare incontro alle richieste comunitarie, che chiedono di limitare ai piccoli investitori il ristoro, ispira anche la definizione della platea di chi potrà presentare la domanda. I «risparmiatori», secondo la definizione all’articolo 2, saranno solo persone fisiche, imprenditori individuali (anche agricoltori e coltivatori diretti), Onlus e microimprese con meno di 10 dipendenti e un fatturato fino a due milioni.
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L’obiettivo è escludere, a differenza della legge di bilancio, che una parte degli 1,5 miliardi finisca a clienti professionali o investitori qualificati. È vero che a finanziare il Fir non sono fondi pubblici, ma i soldi “dimenticati” nei conti dormienti. Ma rimane aperto l’interrogativo sulla possibilità stessa di allargare i rimborsi anche agli azionisti, cioè ai titolari del capitale “di rischio” per definizione.
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Restano questi i due ostacoli principali all’avvio vero e proprio del meccanismo disegnato dal decreto. Per i diretti interessati, la prima mossa sarà la presentazione della domanda, che potrà essere arricchita dalla documentazione bancaria o amministrativa utile a provare la «violazione massiva» degli obblighi di correttezza e trasparenza nella vendita dei titoli. Le banche avranno 30 giorni di tempo dalla richiesta per fornire le carte.
Chi ha un Isee fino a 35mila euro potrà allegarlo per avere priorità nei rimborsi. Bisognerà inoltre indicare se si ha già avuto accesso ad altre forme di ristoro. Il tutto sarà appunto esaminato dalla commissione di 9 membri che fisserà il piano di riparto. La finestra utile per presentare la domanda sarà di 180 giorni a partire dall’entrata in vigore di un secondo decreto, che affiderà alla Consap la gestione finale delle pratiche.
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