La scelta di prevedere rimborsi a tutto campo per i risparmiatori incappati nei crack bancari è dettata dalle ragioni di «urgenza sociale» che si sono determinate per le «violazioni massive» degli obblighi di correttezza e trasparenza nella vendita di prodotti finanziari da parte di Veneto Banca, Popolare di Vicenza e delle quattro banche regionali fallite nel 2015. Proprio la presenza di «violazioni massive», al centro anche di una serie di procedimenti giudiziari, permette di aggirare il passaggio da un arbitro per il via libera ai rimborsi, che sarà invece affidato alla commissione tecnica di 9 membri da creare al ministero dell’Economia. La commissione valuterà caso per caso il diritto all’indennizzo, che sarà certificato però dalla documentazione portata dai risparmiatori senza gli elementi di “discrezionalità” che caratterizzano le decisioni giudiziarie o arbitrali.
È in questi termini la risposta preparata dall’Economia alle obiezioni della commissione Ue sul funzionamento del Fondo risparmiatori (Fir) da 1,5 miliardi introdotto dalla legge di bilancio. Risposta che dovrebbe essere inviata a Bruxelles tra oggi e domani. E punta a difendere su tutta la linea l’impianto disegnato dalle bozze di decreto attuativo (anticipate sul Sole 24 Ore del 6 febbraio): compresa la platea dei possibili rimborsati, che oltre alle persone fisiche si estende, nelle intenzioni del governo, anche alle Onlus e alle micro-imprese fino a 2 milioni di fatturato e 10 dipendenti.
Proprio questi confini restano uno dei nodi più delicati. In ogni caso nella sua risposta il ministero dell’Economia sottolinea a Bruxelles di escludere a priori le «controparti qualificati» e i «clienti professionali». Perché la spesa per indennizzare anche questi profili sarebbe stata particolarmente indigesta in base alle regole europee.
Il governo sceglie di non arretrare sul Fondo risparmiatori anche sul presupposto che da Bruxelles non è arrivata una comunicazione formale, passo d’avvio ufficiale di una procedura d’infrazione. Ma la partita rimane comunque delicatissima. Perché anche la richiesta “per le vie brevi” ricevuta due giorni prima del 31 gennaio, data prevista per l’arrivo del decreto attuativo, ha di fatto inceppato il meccanismo. Il rischio di bocciatura europea, e del conseguente obbligo di recupero di fondi riconosciuti in modo giudicato illegittimo, apre infatti profili di responsabilità erariale in grado di bloccare sia la firma al provvedimento sia l’azione della commissione tecnica.
La complessità della risposta, stretta fra l’esigenza di cercare un accordo con la Ue e quella di non tradire le aspettative delle associazioni dei risparmiatori, è alla base dei continui rinvii seguiti agli annunci dei vicepremier Di Maio e Salvini sull’arrivo imminente dei rimborsi. Delle quattro obiezioni di Bruxelles, due ricevono dalla risposta italiana una replica quasi scontata: «il pagamento della compensazione solo dopo aver posto in atto il burden sharing» non crea problemi, perché la «condivisione dei costi» c’è stata sia per le due banche venete sia per i quattro istituti regionali, e tutti hanno già raggiunto «l’uscita dal mercato» chiesta dai tecnici Ue. Sulle altre due questioni, giudizio arbitrale e platea, la trattativa ripartirà nelle prossime ore.
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