«Diventare la Lvmh italiana? Non rientra tra le mie ambizioni. Così come non ho mai pensato di vendere l’azienda quando in Borsa valeva dieci miliardi. Voglio invece continuare a far crescere Moncler. Quando ho rilevato il marchio 15 anni fa, non avrei mai pensato di arrivare a generare un margine operativo di 500 milioni. Abbiamo ancora tanto da fare per continuare a migliorarci». Nel giorno dell’approvazione del bilancio 2018, il presidente e amministratore delegato di Moncler Remo Ruffini guarda al passato e pensa al futuro.
Quindici anni dopo l’acquisto del brand Moncler, il gruppo italiano del lusso capitalizza in Borsa circa 9 miliardi. Il risultati del 2018 si sono chiusi con profitti sopra le attese degli analisti (+33% a 332 milioni l’utile netto) e con un ulteriore forte crescita dei ricavi (+22% a 1,42 miliardi). A cinque anni dalla quotazione, Moncler continua a registrare una crescita a doppia cifra dei ricavi. Anche in Asia (+16% nel quarto trimestre del 2018), dove altri invece soffrono il rallentamento dell’economia cinese. Malgrado gli investimenti, la cassa netta è aumentata in un anno da 304,9 a 450,1 milioni dopo aver pagato 70 milioni di dividendi (ora saliti a 100 milioni) e acquistato azioni per 149 milioni nell’ambito del piano di buy back.
Con il progetto Genius avete reso “continuativa” durante l’anno l’uscita di nuove collezioni, puntando sul target di lusso della fascia più alta e superando la tradizionale cadenza semestrale del settore. Come sta andando Genius e come intendete svilupparlo?
Con Genius abbiamo inaugurato un nuovo modo di lavorare per un’azienda del lusso. Puntiamo alle nuove generazioni e in generale a un maggiore coinvolgimento dei potenziali clienti, attraendoli nei negozi tutti i mesi. Genius è un progetto fortemente innovativo ma concreto. Come dico spesso citando Thomas Edison, la visione senza execution è pura allucinazione.
Le vendite in Asia valgono tra il 40 e il 45% dei ricavi. Temete che il rallentamento dell’economia in Cina incida negativamente sul fatturato dell’area nel 2019?
Per ora non abbiamo risentito del rallentamento economico e anche nell’ultimo trimestre abbiamo aumentato a doppia cifra i ricavi. Più in generale, siamo ben diversificati geograficamente e crediamo di reggere bene anche all’urto di eventuali impreviste fasi di crisi in alcune aree del mondo.
Tra gli investitori siete considerati l’unico gruppo italiano che potrebbe ambire a diventare la nuova Lvmh, aggregando altre realtà del lusso in Italia e nel mondo. È un’ipotesi che avete mai preso in considerazione?
Non rientra tra le nostre ambizioni. Moncler è un’azienda unica nel suo genere, innovativa. Richiede grande impegno e concentrazione.
“Siamo ben diversificati geograficamente e crediamo di reggere bene anche all’urto di eventuali impreviste fasi di crisi in alcune aree del mondo”
Remo Ruffini, presidente e amministratore delegato di Moncler
E una fusione con un’altra società del lusso?
Ci ho pensato in passato. Ma non ho mai trovato una società con cui avesse senso aggregarsi sia industrialmente che dal punto di vista della cultura aziendale. Per il momento resta un argomento che non è in cima ai miei pensieri.
Lei somma tuttora le cariche di presidente e amministratore delegato. Mai pensato di lasciare la responsabilità gestionale a un manager e dedicarsi solo alle strategie?
Ho 57 anni, mi sento ancora giovane e con grande voglia di fare e innovare. Il giorno in cui non mi sentissi più in grado di creare valore, farò un passo indietro. Quanto alla governance di Moncler, sono orgoglioso di come siamo organizzati. Pur avendo il controllo della società, il cda è composto per più della metà da consiglieri indipendenti. E non c’è un uomo solo al comando ma tre manager - io, Luciano Santel e Roberto Eggs - che ogni settimana si vedono e prendono decisioni in comitato strategico.
Moncler capitalizza circa 9 miliardi di euro. Ed era arrivata a valere oltre 10 miliardi. Mai avuto la tentazione di vendere? E qualcuno si è mai fatto avanti con un'offerta per rilevare il gruppo?
Non ci ho mai pensato, devo anche dire che non ho mai avuto un’offerta. Ma vorrei essere chiaro: il tema non è sul tavolo, né ora né nei prossimi anni.
Da quasi tre anni la vostra holding di famiglia che controlla il 26,2% del capitale di Moncler ha come soci di minoranza il fondo sovrano di Singapore Temasek e Juan Carlo Torres, numero uno del colosso del travel retail Dufry. Sono partner stabili?
Sono investitori che si sono dichiarati long term. Temasek è apertamente interessato al settore del lusso in Europa. Torres guida uno dei poli leader nel travel retail, che per noi è un canale interessante non solo per le vendite ma anche per la diffusione del marchio. Con entrambi abbiamo ottimi rapporti.
Con 450 milioni di liquidità in cassa, sono possibili acquisizioni mirate?
Le abbiamo valutate, ma poi ha prevalso l’idea che fosse troppo complesso integrarle. Tanto più ora che, con Genius, stiamo creando un’azienda nell’azienda.
La valutazione di Borsa quanto condiziona le vostre decisioni?
Cerco di stare il più lontano possibile da quel tipo di mentalità. Le strategie devono guardare al lungo termine, non bisogna farsi condizionare dalle temporanee reazioni dei mercati.
La vostra clientela è soprattutto concentrata nei millennials di ceto medio-alto. Un grande gruppo del lusso come Moncler, nel programmare gli investimenti dei prossimi anni, in che modo tiene conto dei cambiamenti sociali in corso in Europa e nel resto del mondo?
Un tempo il valore che faceva la differenza era il prodotto. Oggi lo è ancora, ma non basta. La sostenibilità ambientale, per esempio, è e sarà un valore sempre più fondamentale per il consumatore. Ci siamo adeguati e ci impegniamo a fare di più.
Investite nell’apertura di nuovi negozi e contemporaneamente sulla distribuzione online. Non teme che Internet cannibalizzi la rete tradizionale di vendita?
No, credo che siano due reti complementari. Sono convinto che la omnicanalità sia il futuro nel nostro settore.
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