Fino a 31 punti percentuali. È quanto varrebbe l'uguaglianza di genere in termini di Pil mondiale entro il 2025 secondo le stime di Bank of America Merrill Lynch Global Research. Ventotto trilioni di dollari. Vale a dire la ricchezza di Cina e Stati Uniti messi insieme. In occasione della Giornata internazionale della donna, l'istituto ha voluto fare una proiezione dell'impatto femminile sull'economia e sui mercati finanziari. Le donne sono la metà della popolazione mondiale e rappresentano anche la metà del suo potenziale. Eppure, secondo le stime della Banca mondiale, detengono solo il 38% di tutta la ricchezza. Cosa succederebbe se le donne avessero le stesse opportunità degli uomini e un ruolo identico nei mercati?
Lo scenario presente tratteggiato è in miglioramento ma la strada da percorrere è ancora lunga. Due sono i trend positivi riscontrabili nel mondo: l'occupazione e la ricchezza femminile stanno aumentando. Entro il 2020 si prevede che le donne avranno nelle loro mani attività finanziarie per 72 trilioni di dollari, il doppio del 2010. Inoltre già oggi il tasso di accumulo è di 1,5 volte più veloce rispetto agli uomini
Il divario di genere però si sta riducendo lentamente, e ai livelli attuali serviranno ancora 202 anni per raggiungere la parità economica e politica. Oggi le donne studiano di più ma vengono pagate meno. Fanno più lavoro non retribuito e raramente riescono a “sfondare il tetto di cristallo”. Eppure quando arrivano ai vertici aziendali i risultati positivi ci sono per tutti. Anche per i conti delle imprese
I tassi di partecipazione delle donne alla forza lavoro, dicevamo, si stanno avvicinando a quelli maschili ma quando le donne lavorano, hanno maggiori probabilità di farlo part-time, faticano a raggiungere posizioni dirigenziali, rischiano maggiori discriminazioni e guadagnano meno degli uomini. É stato calcolato che nei Paesi dell'Ocse le donne ricevono quasi il 15% in meno rispetto agli omologhi maschili, un tasso cambiato di poco dal 2010
Questo avviene anche in Italia. Il Rapporto 2018 AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati segnala che a cinque
anni dal conseguimento del titolo magistrale lo stipendio di un uomo è in media di 1.675 euro netti, quello della donna i
1.416. Il 18,3% in meno in meno ogni mese. Inoltre una volta dismessi i panni della lavoratrice fuori casa le incombenze non
sono finite perché a carico delle donne resta ancora la maggior parte del lavoro di cura della famiglia e della casa. Lavoro
non pagato che in tutto il mondo varrebbe dieci trilioni di dollari all'anno
Le donne in azienda
Negli Stati Uniti l'attenzione sulle disuguaglianze di genere è aumentata, basti pensare che le ricerche sul motore di ricerca
di Google per il termine “gender pay gap” sono aumentate di 800 volte ma in azienda le donne arrancano ancora, soprattutto
nelle posizioni apicali.
Nelle 500 aziende che fanno parte dell'indice Standard&Poor500 ci sono quattro uomini per ogni donna e solo il 5% delle imprese rappresentate ha una donna al timone dell'azienda
Anche nel continente asiatico il genere femminile è sotto-rappresentato. A loro spettano solo il 12% dei posti nei consigli
di amministrazione e sono solo il 3% degli amministratori delegati.
Eppure gli incentivi per colmare il divario di genere al lavoro ci sono. Li evidenzia anche Bank of America: le società che
si impegnano a garantire la diversità di genere a livello di consiglio di amministrazione, di cassa e di impresa negli Stati
Uniti hanno un Roe (Return on equity) più elevato e minori utili a rischio. Possiamo anche prendere un esempio a noi più vicino
e il risultato non cambia. Consultando il quaderno della finanza Consob “Boardroom gender diversity and performance of listed
companies in Italy”, si scopre che quando le donne superano il 30% nei board delle aziende gli indici di prestazione migliorano:
+0,51 sul Roa (Return on assets); 1,734 sul Roe; 0,67 sul Roic (Return on invested capital) e 6,82 sul Ros (Return on sales).
Il cambio di passo dell'Europa
Con la legge Golfo-Mosca (n°120/2011) la percentuale femminile nei board delle società quotate italiane è arrivata al 33,6%
(quando nel 2008 era solo del 6%). La penisola riflette il cambiamento significativo avvenuto in tutta l'Europa per quanto
riguarda la parità di genere. Nel vecchio continente la percentuale di donne nei consigli di amministrazione è triplicata
negli ultimi 15 anni. Un membro executive su sei è donna. L'Unione europea però vuole di più: uno degli obiettivi della Commissione
europea per il 2020 è quello di portare il tasso di occupazione delle donne al 75% dall'attuale 64%. In questo caso però l'Italia
deve rimboccarsi le maniche. Qui l'occupazione femminile è al 49% con una situazione che si fa ancora più difficile nel Mezzogiorno.
Secondo gli ultimi dati Svimez, i tassi di occupazione di Calabria, Campania, Sicilia e Puglia sono tra i più bassi d'Europa.
Fanno meglio di noi anche la Guyana francese e l'enclave spagnola di Melilla in Marocco.
Investire sulla scuola per moltiplicare i risultati
Tra 2000 e 2015 nell'istruzione primaria il numero di bambine per ogni 100 bambini è salito da 92 a 97, e da 91 a 97 nell'istruzione
secondaria. La scuola costituisce un terreno fertile dove seminare per un mondo futuro più equo e, abbiamo visto, più ricco.
Lì l'effetto degli investimenti si moltiplica. L'impatto dell'educazione sulla vita delle bambine e dei Paesi in cui vivono
è misurabile. È il cosiddetto Sroi, ovvero Social return on investment, che permette di quantificare e assegnare un valore
monetario al cambiamento generato dagli investimenti. Secondo Bank of America ogni dollaro impegnato in programmi educativi
per le ragazze e per alzare l'età del matrimonio ne restituisce cinque alla comunità. Investire un dollaro in programmi che
le aiutino una volta grandi a generare reddito invece ne porta sette. Ogni anno di scuola secondaria che una ragazza può frequentare
le porterà il 18% in più in termini di potere di guadagno futuro
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