«Telecom? Mi hanno proposto più volte di organizzare un club deal ma ho sempre rifiutato perché è una società che mi fa un po’ paura. Gli Npl? Li lascio a quelli che io chiamo i becchini della finanza. Io investo in imprese, mi piace dare un contributo per rilanciarle e farle crescere. L’Italia è ricca di opportunità». Giovanni Tamburi sta per compiere 65 anni e da quasi 40 anni lavora nel mondo della finanza italiana. Prima la gavetta, poi tre anni in Bastogi, a seguire 10 anni in Euromobiliare al fianco dello scomparso Guido Roberto Vitale («è stato un grande maestro»). E poi, ormai da quasi 20 anni, in proprio con la Tamburi Investment Partners, l’investiment e merchant Bank quotata in Borsa che ha realizzato oltre 300 operazioni di merger and acquisition.
Con i circa 3 miliardi affidati da ricche famiglie di imprenditori, i suoi veicoli di investimento Tip hanno investito in aziende di vari settori con un rendimento annuo medio del 35% negli ultimi 5 anni. Tamburi è l’inventore dei “club deal”, ovvero del coinvolgimento di più investitori che, a differenza dei fondi di private equity, non hanno scadenza temporale all’investimento. Da Interpump a Datalogic, da Prysmian a Eataly, è lunga la lista delle società partecipate dal finanziere. Il fiore all’occhiello è Moncler che è arrivata a capitalizzare oltre 9 miliardi in Borsa. «Pensi che all’inizio non volevo entrare in Moncler, poi un amico mi portò da Remo Ruffini e in tre ore chiudemmo l’operazione». Proprio vero che chi trova un amico, trova un tesoro. L’ultimo investimento è quello annunciato pochi giorni fa in Ovs. L’intervista a tutto campo con Tamburi non può che partire da qui.
L’Italia è a rischio recessione e lei investe proprio ora in un retailer come Ovs. Non è una scommessa azzardata?
Sarà perché quando avevo dieci anni vendevo sigarette dal tabaccaio, ma a me il retail ha sempre affascinato. Il negozio mi è sempre piaciuto ed è una caratteristica ricorrente dei miei investimenti: se consideriamo Amplifon, Ovs, Hugo Boss, Furla, Moncler ed Eataly, contiamo su circa 20.000 negozi nel mondo. L’esperienza emozionale e fisica dei negozi è insostituibile. Le vendite online sono un complemento necessario, certo, ma credo che il futuro sia nella multicanalità. E anche le mosse di un colosso delle vendite online come Amazon, che ha comprato librerie “fisiche” e i supermercati Whole Foods, vanno in questa direzione.
Torniamo a Ovs. La società ha quasi 400 milioni di debiti e opera in un settore ad alta concorrenza. Qual è a suo giudizio l’appeal finanziario e industriale?
Il debito non ci preoccupa perché in parte è collegato a una passata acquisizione in Svizzera, andata male ma ormai risolta. Gli oneri collegati a quell'indebitamento sono destinati a esaurirsi. Ovs ha due asset di rilievo: la rete di distribuzione e il prodotto di fascia media che, a differenza di altri competitor, viene concepito e prodotto in casa. Ha un buon management e credo che in 3-4 anni possa arrivare a generare un ebitda tra i 180 e i 200 milioni all'anno, riducendo gradatamente il debito. A me questo settore piace, non esiste solo il lusso.
Con tutte le partecipazioni che avete acquistato in varie imprese italiane, fate un po' il lavoro della Mediobanca di una volta. Mai avuto problemi concorrenziali con Piazzetta Cuccia?
No, anzi. Enrico Cuccia mi voleva bene. E con Nagel e Pagliaro ho ottimi rapporti.
“Stiamo lavorando a varie operazioni. Ma le acquisizioni prima si fanno e poi si annunciano”
Giovanni Tamburi
Tante partecipazioni, ma senza mai giocare le grandi partite finanziarie. Fiat, Generali, Telecom: ci ha mai fatto un pensiero?
Ci ho pensato ma mi sono sempre detto che non era il caso. In Fiat abbiamo investito circa 100 milioni ai tempi del prestito convertendo, ero convinto che il rilancio fosse possibile e così è stato. Ma il gruppo è troppo grande per noi ed è inevitabilmente destinato a un’alleanza internazionale. Generali? Non capisco il mondo assicurativo, non fa per me. Quanto a Telecom, ammetto che in più occasioni ci è stato proposto di fare un club deal. Ma ho sempre rinunciato per paura.
Paura di cosa?
Bene o male, è una società che deve interfacciarsi a più livelli con la politica. Non è il mio mondo, troppi vincoli, troppi condizionamenti allo spirito imprenditoriale. Per lo stesso motivo non ho mai investito neanche nelle utilities.
Non ha mai investito neanche nelle banche, né si è buttato nel ricco mercato degli Npl che sta attirando in Italia fondi di private equity di tutto il mondo. Perché?
A me piace investire nelle imprese, rilanciarle, aiutarle a crescere. Gli Npl sono roba da becchini delle imprese. Chi li compra ci guadagna, lo so. Ma è un mondo che emotivamente non mi piace, anzi mi dà proprio fastidio. Quanto alle banche, è un settore che conosco poco. È un business soggetto a tante disposizioni di varie Autorità di Vigilanza e regolatorie. Vedo poco spazio per il talento imprenditoriale.
Anni fa, quando era in Bastogi, si occupò di immobiliare. Ma poi non ci ha mai investito. Eppure è un settore che negli ultimi anni e tornato di moda. Perché?
Nell'immobiliare più che in altri settori ho visto creare grandi fortune, poi evaporate in poco tempo. Penso alla Lasa di Carlo De Benedetti, alla Akros di Gian Mario Roveraro o alla Sopaf di Jody Vender. O all'ascesa e alla caduta di tanti “palazzinari” dai Marchini in poi. No guardi, ho le mie passioni, non seguo le mode. E non è per anticonformismo.
Dal passato al futuro. Investite in start up? In che settori?
Da Digital Magics a TalentGarden, sono già molte le start up di successo in cui abbiamo investito. I settori sono i più diversi. Il valore in più che credo possiamo apportare, investendo in club deal insieme a tanti imprenditori, è di facilitare la crescita delle start up proprio grazie all'immediato contatto con le imprese di chi investe.
Dopo Ovs, ha già in mente la prossima acquisizione?
Stiamo lavorando a varie operazioni. Ma le acquisizioni prima si fanno e poi si annunciano.
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