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L’Europa è un Paese per vecchi. Ecco perché la Bce non…

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L'Analisi |grafinomix

L’Europa è un Paese per vecchi. Ecco perché la Bce non riesce a far ripartire (da 10 anni) l’inflazione

L’euro (e la Bce) operano da 20 anni. L’obiettivo dell’istituto di Francoforte è vigilare sulla stabilità dei prezzi affinché l’inflazione sia vicina, ma inferiore, al 2%. Nei primi 10 anni la media dell’inflazione dei Paesi dell’Eurozona si è attestata all’1,7%. L’obiettivo quindi è stato raggiunto. Negli ultimi 10 invece la media si è attestata all’1,2%. L’obiettivo non è stato centrato nonostante proprio nell’ultima decade la Bce abbia sfoderato dal cilindro un kit record di misure non convenzionali. Nel 2011 ha lanciato il primo maxi-prestito (1.000 miliardi) a tassi agevolati alle banche a medio termine (Ltro). Nel 2014 ha ampliato questi prestiti agganciandoli alla concessione di prestiti a famiglie e imprese (T-Ltro).

Nel 2015 ha avviato un piano di quantitative easing, iniziando ad acquistare titoli sui mercati aperti. Nel frattempo ha portato il costo del denaro a 0, riducendo addirittura a -0,4% il tasso sui depositi. Questo mix di misure ha espanso il bilancio della Bce oltre i 4mila miliardi di euro (altro guinness). Ma tutto ciò non si è rilevato sufficiente ad orientare la Banca centrale europea verso il suo obiettivo, quel 2% di inflazione che sembra sempre più lontano e irraggiungibile.

Come mai, nonostante uno sforzo e un’attenzione massimi e vari record di politica monetaria espansiva, la Bce si è distanziata da quanto previsto dal suo mandato?

Per gli analisti di Pimco - che hanno elaborato uno studio apposito intitolato “Ecb monetary policy confronts aging demographics and elusive inflation” - la spiegazione è piuttosto semplice e risiede nell’invecchiamento della popolazione (e della forza lavoro) dell’Europa. In merito a questo punto gli economisti si spaccano. C’è una schiera (i sostenitori della life cycle hipothesis) secondo cui l’invecchiamento della popolazione stimola l’inflazione nel momento in cui lavoratori anziani hanno stipendi mediamente più elevati rispetto ai lavoratori di fascia più giovane. Salari che impattano - stando a questa teoria - in modo positivo sull’inflazione.

In effetti i dati indicano che la forza lavoro in età avanzata sta aumentando. Negli ultimi 10 anni nell’Eurozona il numero dei lavoratori nella fascia 60-64 anni è cresciuto dal 20% al 45%, quello dai 65 ai 69 dal 6% al 12%, e quello dai 70 ai 74 anni al 5%.

Opposta la visione dei sostenitori della secular stagnation hypothesis, sposata anche dagli analisti di Pimco. Qui il concetto - partendo sempre dall’aumento dell’età della forza lavoro - si basa sulla correlazione estremamente positiva tra l’età demografica e i risparmi. In sostanza, più si invecchia più si risparmia. E anche qui i dati (come evidenziatato dal Grafinomix di giornata su dati Eurosta) sono chiari.

La percentuale di risparmio delle famiglie in relazione dell'età

Media di risparmio in % sul reddito

Il punto è che più si risparmia e meno si investe. L’aumento dei risparmi è di per sé deflazionistico, a differenza degli investimenti. Secondo Pimco le statistiche che indicano che aumenterà sempre più l’età della forza lavoro, e quindi si andrà in pensione sempre più tardi, impatteranno inevitabilmente in modo negativo sull’inflazione.

La conclusione di Pimco è che le tendenze demografiche continueranno a esercitare pressioni al ribasso sull'inflazione dell'Eurozona. Gli analisti Bosomworth e Veit prevedono che le aspettative di inflazione possano scendere al di sotto del 2% nel prossimo decennio e che la Bce entri nella prossima recessione senza aver mai normalizzato la propria posizione politica.

L’Eurozona sembra quindi destinata ad entrare, come è accaduto al Giappone da 2o anni, in una trappola della liquidità. E questo sta accadendo indipendentemente dalla buona volontà della Bce. L’invecchiamento della popolazione è più forte della politica monetaria espansiva.

twitter.com/vitolops

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