Le decisioni di politica monetaria comunicate ieri dalla Fed dopo il suo direttivo sono state più espansive del previsto e il mercato ha reagito comprando titoli di Stato americani innescando un netto calo dei rendimenti che, sulla scadenza a 10 anni, sono scesi dal 2,61% dell’apertura di giornata al 2,52% in chiusura di contrattazioni. Non si vedevano livelli simili da gennaio 2018. I rendimenti dei titoli di Stato Usa sono letteralmente crollati rispetto ai picchi (3,23%) toccati a novembre.
Il rally dei Treasury americani ha contagiato il resto del mercato obbligazionario globale. Questa mattina i rendimenti dei principali titoli governativi dell’eurozona (il cui andamento è inversamente proporzionale al prezzo) sono tutti in netto calo. A partire dal titolo che fa da riferimento al mercato: il bund. Il rendimento del decennale tedesco è sceso fino allo 0,041%, un livello che non si vedeva da ottobre 2016. Ma più del Bund la decisione della Fed favorisce titoli considerati più rischiosi. Come ad esempio i BTp italiani il cui rendimento a 10 anni è sceso di 8 punti rispetto alla chiusura di ieri arrivando a quota 2,44% come non accadeva da l 25 maggio dello scorso anno. Immediati i riflessi sullo spread Bund-BTp che è sceso sotto i 240 punti.
La Banca centrale Usa ha sorpreso gli investitori annunciando che non ci saranno rialzi dei tassi quest’anno. In un recentissimo sondaggio tra i gestori condotto da Bank of America Merrill Lynch il 41% degli intervistati si era dichiarato convinto che la Fed avrebbe messo in atto due rialzi dei tassi entro i prossimi 12 mesi; il 37% invece aveva scommesso su un rialzo mentre solo una minoranza (8%) aveva previsto quanto effettivamente deciso dalla Fed: cioè zero rialzi dei tassi.
La decisione insomma ha colto di sorpresa il mercato e ha avuto un impatto notevole anche sul mercato dei cambi con il dollar index, l’indice che monitora le quotazioni del biglietto verde rispetto alle principali controparti, in calo dello 0,3% rispetto ai livelli precedenti l’annuncio. Di riflesso si è visto un netto apprezzamento dell’euro sul dollaro (qui il grafico del cambio) con la moneta unica balzata oltre quota 1,14 come non accadeva da inizio febbraio. L’euro è arrivato ad apprezzarsi di quasi lo 0,8% sul biglietto verde dopo la decisione della Fed. Una fiammata decisamente anomala per il mercato valutario.
«Ogni residua probabilità di un rialzo dei tassi entro l’anno - si legge in una nota di Unicredit - è svanita con la recente decisione della banca centrale Usa. Alla luce della prudenza della Fed e di un’analogo atteggiamento da parte della Bce cè da escludere che i rendimenti del mercato obbligazionario (in forte calo da inizio anno ndr.) possano ripartire. Anche perché ci sono altri fattori che dovrebbero spingere il mercato a preferire il reddito fisso come l’incertezza sulla Brexit o quella sul negoziato Usa-Cina sui dazi».
Anche sul delicato fronte del bilancio la Fed si è mostrata più “colomba” del previsto. La banca centrale Usa ha accumulato fino a 4500 miliardi di dollari di titoli nel suo bilancio per effetto del piano di Quantitative easing. Nell’ambito del suo processo di “normalizzazione” la Fed, a partire dallo scorso anno, ha gradualmente smesso di riacquistare i titoli alla loro naturale scadenza portandolo di poco sotto quota 4000. Ma questo processo è destinato a subire un rallentamento a partire da maggio per poi interrompersi alla fine del terzo trimestre. La decisione era attesa ma i tempi sono più stretti del previsto. E ciò gioca a favore del mercato obbligazionario.
Il cambio di rotta delle banche centrali, che dall’inizio dell’anno hanno assunto un atteggiamento più accomodante alla luce dei rischi di rallentamento della congiuntura a livello globale, ha favorito il rally del mercato obbligazionario. Un trend iniziato alla fine dello scorso anno e consolidatosi in questi primi mesi del nuovo anno. Negli ultimi 6 mesi l’indice Merrill Lynch Developed Market Sovereign Bond che monitora le quotazioni dei principali titoli governativi dei mercati sviluppati ha guadagnato il 3,23% mentre quello dei mercati emergenti ha messo a segno un +5,42 per cento.
Da inizio anno i fondi che investono sul mercato obbligazionario hanno registrato un vero e proprio exploit in termini di raccolta con 65,79 miliardi di dollari di flussi netti in entrata. Numeri a cui fa fronte una debacle dei fondi azionari che invece hanno subìto riscatti per 46 miliardi netti.
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