Il rame è tornato ad attirare l’interesse degli hedge funds, che l’hanno spinto ai massimi da luglio 2018. I movimenti speculativi sul mercato si sono intensificati negli ultimi mesi, provocando rialzi ma anche forti oscillazioni dei prezzi e del livello delle scorte nei magazzini di Borsa: manovre non sempre trasparenti, che rischiano di offuscare lo stato dei fondamentali del metallo, compromettendo il suo ruolo di barometro dell’economia globale.
A sostegno del rame – che ieri al London Metal Exchange ha superato 6.500 dollari per tonnellata – ci sono senza dubbio diversi fattori rialzisti, a cominciare dallo squilibrio tra domanda e offerta: il mercato dal 2017 è in deficit, una condizione che sembra destinata a permanere anche quest’anno, sia pure senza aggravarsi.
La mineraria Antofagasta questa settimana, a margine dei risultati annuali, ha previsto una carenza di 100-300mila tonnellate nel 2019. Per Citigroup il gap tra domanda e offerta sarà di 116mila tonnellate.
Le stime dell’International Copper Study Group (Icsg), appena pubblicate, ci dicono che nel 2018 il deficit di offerta era ben più ampio: 387mila tonn, un record da 4 anni.
Sul fronte della domanda ci sonocomunque molte incertezze all’orizzonte, tra cui l’esito delle trattative commerciali tra Usa e Cina, ma anche la natura e gli effetti del nuovo piano di stimoli avviato da Pechino: un piano che sembra molto più cauto di quelli del passato e molto meno incentrato sullo sviluppo delle infrastrutture (e quindi di minore impatto sul consumo di rame).
Più in generale, permangono dubbi sull’intensità della frenata dell’economia globale. Mentre è già evidente che l’inversione di rotta della Federal Reserve potrebbe avere un effetto rialzista sul rame e sulle altre materie prime: l’impennata di ieri al Lme è legata anche all’indebolimento del dollaro, dopo che la Fed ha escluso rialzi dei tassi nel 2019.
Il rame, dopo aver raggiunto un picco di 6.555,50 $/tonnellata (base tre mesi), è comunque affondato poche ore dopo fino a 6.405 $, perdendo oltre il 2%. La volatilità continua da giorni, legata probabilmente all’ennesimo riposizionamento degli hedge funds.
La settimana scorsa negli Usa i fondi hanno ridotto di quasi un terzo le posizioni nette lunghe (all’acquisto): un’esposizione rialzista che avevano ricostituito di recente, dopo che il numero di “scommesse” al ribasso a gennaio si era ingrossato a livelli senza precedenti .
L’agenzia Bloomberg segnala anche grandi manovre sulle opzioni al Comex, con un’operazione di stampo rialzista di dimensioni record martedì.
Ci sono mani forti – comprese quasi certamente mani cinesi – anche dietro le strane oscillazioni delle scorte di Borsa. All’Lme la settimana scorsa erano crollate ai minimi dal 2008, sollevando timori sulla reperibilità di rame a pronti, ma in soli due giorni sono risalite del 70%. Ieri ammontavano a 176.450 tonnellate (di cui l’80% on warrant, cioè disponibili), un livello comunque quasi dimezzato rispetto a un anno fa.
Anche nei magazzini del Comex le scorte di rame sono scese a rotta di collo, fino ai minimi dal 2015, mentre in parallelo alla Borsa di Shanghai sono più che raddoppiate in un anno, superando 260mila tonnellate.
Volumi imprecisati di metallo sono intanto custoditi in magazzini privati, sfuggendo a ogni statistica almeno finché non ricompaiono in qualche Borsa. Frequenti sono anche gli spostamenti da una Borsa all’altra, in un carosello che ormai da anni viene utilizzato a fini speculativi e che non permette più di dedurre la salute della domanda dalle scorte. Tanto meno se si guarda solo all’Lme.
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