Per i Paesi emergenti è il momento di prendere una boccata d’ossigeno. A tal punto che anziché continuare ad alzare i tassi - come hanno ripetutamente fatto dal 2015 - per alcune banche centrali periferiche può scattare l’ora dei tagli. Su questo fronte si è già mosso qualcosa: a febbraio a sorpresa la Banca centrale dell’India ha ridotto il costo del denaro di 25 punti base al 6,25% dato che l’inflazione (2,5%) è stabilmente al di sotto del target (4%). «Presto anche altre banche potrebbero seguire a ruota - spiega Vincenzo Longo, strategist di Ig -. Tra le più accreditate a un taglio ci sono Filippine, Indonesia, Malesia, Corea del Sud e ancora la stessa India. In generale tutta l’area asiatica può ora tornare a concentrarsi sui numeri dell’economia domestica, tralasciando il peso che solitamente sono costretti a “pagare” in termini esogeni, dovuto soprattutto ai tassi americani e al dollaro».
Non sono quindi solo le grandi banche centrali (Federal Reserve, Bce, People’s Bank of China) ad aver invertito in senso più accomodante la politica monetaria. A ruota questo cambio di rotta potrà impattare nei prossimi mesi anche sulle banche centrali dei Paesi emergenti. Lo schema è il seguente: quando la Federal Reserve annuncia un piano di possibili rialzi dei tassi, il dollaro si apprezza così come i rendimenti dei titoli di Stato statunitensi. Non a caso lo scorso anno (quando gli investitori si aspettavano altri tre rialzi nel corso del 2019 della Fed) i rendimenti dei titoli a 10 anni Usa erano arrivati al 3,4%. Questi livelli costringono i Paesi emergenti - indipendentemente dall’andamento dell’inflazione locale - ad alzare i tassi per evitare una fuga di capitali verso i Treasury che, con tassi superiori al 3% e a fronte di un’economia molto stabile, diventano un forte concorrente delle cedole pagate dal Tesoro di Paesi più fragili come appunto quelli emergenti.
Adesso si sta verificando l’opposto. La Federal Reserve ha annunciato che non alzerà più il costo del denaro nell’anno in corso: ci sono anche degli analisti che ipotizzano che nel 2020 taglierà i tassi. Non a caso i rendimenti dei bond governativi Usa a 10 anni sono crollati al 2,4% e sono obiettivamente oggi meno attraenti. E questo significa che, almeno per un po’, i Paesi emergenti possono tirare un sospiro di sollievo e concentrarsi sui fondamentali delle proprie economie senza doversi preoccupare di fughe di capitali “verso la qualità” o del rialzo del costo del debito in dollari (altro fattore di vulnerabilità per queste economie). Quindi, se l’inflazione è sotto le attese (come ad esempio in Malesia dove addirittura c’è una deflazione dello 0,4%) questo è il momento migliore per tagliare. L’inflazione nell’area asiatica sta in effetti calando e ciò è dovuto al rallentamento dell’economia cinese che influenza inevitabilmente il costo del denaro dei Paesi orbitanti.
Così, dopo quattro anni dominati dai rialzi, il 2019 potrebbe essere l’anno dell’inversione e probabilmente di una maggiore stabilità delle valute emergenti, a beneficio delle rispettive Borse. Presto potrebbe toccare anche alla Nuova Zelanda che la scorsa settimana ha deciso di lasciare invariato il costo del denaro all’1,75% aprendo però la porta a un taglio. Sarebbe il primo in quattro anni.
© Riproduzione riservata