Questa volta il grido d’allarme non arriva solo dall’Italia, ma da mezza Europa. E il messaggio è chiaro: l’eccesso di regolamentazione bancaria sta strozzando l’accesso al credito delle Pmi. Il motivo? Troppe le nuove regole bancarie, troppo elevati i costi per adeguarsi alle nuove normative. Morale: per le piccole imprese il credito è sempre più costoso. E sempre meno accessibile.
L’occasione per misurare lo stato di salute dei canali di accesso al credito da parte delle Pmi è arrivato da una consultazione ad hoc avviata a febbraio dal Financial stability board e appena arrivata a conclusione. L’organismo del G20, che ha il compito di monitorare la stabilità del sistema finanziario mondiale, ha voluto interpellare tutti gli stakeholder globali sul tema. Il lavoro sfocerà in una bozza da presentare in occasione del G20 di giugno, e poi in un report finale a ottobre. Ma dai commenti arrivati fino ad oggi emerge già come il disagio, su questo fronte, sia condiviso tra le banche dei paesi europei.
Del resto, i prestiti alle Pmi fino ad oggi sono stati assoggettati a un sfilza di regole e standard regolatori più stringenti rispetto ad altre forme di lending, complice la loro presunta maggiore rischiosità intrinseca. Una Pmi è ritenuta più fragile di una grande società ed è quindi esposta a un maggior rischio default. Conseguenza: alle banche si chiede di fare accantonamenti relativamente più sostanziosi quando prestano a una Pmi piuttosto che a una grande azienda. E pazienza se quest’ultima generi maggiore rischio “sistemico”. Nell’ambito di Basilea 3, ad esempio, anche la parte dei fidi non utilizzati è soggetti ad accantonamenti, e questo penalizza così uno degli strumenti più largamente utilizzato dalle Pmi.
Tra riforme di Basilea (soprattutto quelle legate all’implementazione di richieste di capitale più stringenti), calendar provisioning della Bce e l’introduzione dei nuovi principi contabili Ifrs9, il costo del capitale per le banche (e quindi dei prestiti) aumenta a dismisura. Intesa Sanpaolo ha stimato che l’aumento del cost of capital dell’1% genera indicativamente un incremento dei tassi su un prestito a cinque anni che oscilla tra il 10 e i 40 punti base, a seconda della qualità dell’impresa. Questo rincaro, insieme all’introduzione dei principi contabili più stringenti dell’Ifrs9, impatta «negativamente» sull’offerta di specifici prodotti finanziari «quali i prestiti non garantiti e i prestiti a medio-lungo termine, due delle principali fonti finanziarie delle Pmi», si legge nell’opinione inviata da Ca’ de Sass al Fsb. Il risultato finale - segnala la Federazione bancaria europea - è che «il finanziamento alle Pmi sta diventando uno degli usi meno attrattivi di capitale regolamentare per le banche» complice la «complessa e sfidante cornice regolamentare che spinge verso asset più liquidi».
Poco conta che la realtà abbia dimostrato la crisi del 2007 siasganciata dai prestiti alle piccole aziende. «In realtà, le Pmi dell’Ue hanno dato un contributo significativo alla ripresa e alla successiva espansione dell’economia dell’Ue in seguito alla crisi», continua la Federazione bancaria europea. Le Pmi «hanno rappresentato il 47% dell’aumento totale dal 2008 al 2017 del valore aggiunto generato dal settore non finanziario e per il 52% dell’incremento cumulativo dell'occupazione nel settore». Un aiuto certo arriva dalle nuove regole decise a Bruxelles, e sostenute dalla commissione Econ del Parlamento Ue guidata da Roberto Gualtieri, e dall’Abi, che hanno permesso di rivedere il Sme Supporting Factor, ovvero il fattore di ponderazione applicato ai finanziamenti che permette di compensare l’aumento dei requisiti di capitale.
Tuttavia il problema rimane strutturale e soprattutto prospettico. A segnalarlo sono paesi come Francia e Austria. Secondo la Camera economica federale austriaca, quello dell’impennata del costo del finanziamento per le Pmi «non è un problema con l’attuale livello dei tassi» visto che «è stato fortemente compensato dalla riduzione del costo del denaro». Ma di certo il tema «potrebbe emergere qualora ci fosse una riluttanza delle banche sistemiche di fronte a un aumento nelle richieste regolamentari dei fondi propri, in particolare sul breve termine». Un timore ribadito dalla Federazione bancaria francese, secondo cui «mentre le azioni di supporto delle banche centrali come Qe e Ltro possono essere solo temporanee», l’ondata di nuove regole «produrranno effetti negativi permanenti» per le Pmi. L’effetto probabile, insomma, è che le banche potrebbero dover «ridurre fortemente i prestiti».
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