È noto a tutti che il debito pubblico italiano è un macigno che condiziona la politica economica nazionale: 2.358 miliardi di stock con una spesa per interessi annua pari a 65,6 miliardi di euro (dato 2017). Un macigno che pregiudica la politica economica e in particolare le giovani generazioni, in uno scontro che le vede vittime degli errori del passato. Si sa altrettanto bene che ogni residente in Italia ha un debito pari a 38mila euro circa: un dato a suo modo spaventoso, che non risparmia neonati e pensionati. Che però sono coinvolti in modo differente rispetto a questa montagna di debito da finanziare periodicamente sui mercati dei capitali.
Per questo l'Ufficio Studi del Sole 24 Ore ha elaborato i dati della Banca d'Italia e dell'Istat dal 1946, anno di fondazione della Repubblica italiana, per descrivere con numeri e proporzioni la diseguale distribuzione del debito pubblico tra i residenti in Italia. Frutto delle politiche di bilancio cumulate nel tempo: qualcuno ricorderà che nel 1974 il governo permise ai dipendenti del pubblico impiego di andare in pensione con 14 anni sei mesi e un giorno di contributi. Un dato contabile reso evidente nel 1981 con la separazione tra Tesoro e Banca d'Italia che esentava la seconda dal garantire in asta il collocamento dei titoli italiani (analogamente a quanto attuato nel 1951 dagli Usa).
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Andiamo con ordine. Abbiamo considerato i valori di debito in milioni di euro correnti e costanti aggiornati al 31 dicembre di ogni anno a partire dal 1946, considerandone il valore a prezzi correnti (attualizzati al 2017, per omogeneità di fonte). Abbiamo poi preso in considerazione il debito cumulato nell'anno (che, con qualche eccezione, è quasi sempre aumentato) parametrandolo alla popolazione per calcolarne il peso procapite: il grafico qui sotto evidenzia il picco registrato tra il 1983 e il 1993, seguito da un periodo di riduzione del debito italiano - in concomitanza con la convergenza verso l'Eurozona - cui ha fatto seguito una minor “cura” e un costante aumento dello stock. Inoltre, abbiamo considerato la popolazione residente e in vita anno per anno, calcolando l'ammontare di debito pubblico generato durante la vita di ciascuna “coorte generazione”, suddivisa per anno di nascita.
Questo è uno dei due dati centrali della nostra elaborazione e fotografa l'apporto maggiore alla formazione del debito pubblico delle generazioni più anziane e inferiore di quelle più giovani: dato evidenziato dalla spezzata calante del grafico qui a fianco. L'altro dato centrale della nostra elaborazione è costituito dalla somma del debito medio di ciascun residente in Italia e degli interessi sul debito pubblico che le generazioni dovranno pagare in futuro, assumendo un tasso costante dello 0,71%, frutto della differenza tra la media annuale del rendimento medio dei titoli emessi in asta dalla Repubblica italiana e la media mensile dell'indice dei prezzi al consumo calcolata tra il 2002 e il 2018. La spezzata crescente illustra come sulle spalle dei giovani ci sia un peso ben superiore a quello di chi ha più anni.
Assumendo per ipotesi che il debito pubblico italiano non cresca in futuro, chi è nato nel 2018 si trova a far fronte a un debito pari a poco più di 60mila euro, contro i 56mila di chi è nato nel 2004; chi è nato invece nel 1963, ad esempio, ha un debito sulle spalle di 45mila euro. Ma se mettiamo in relazione gli interessi da pagare oltre allo stock di debito al 31/12/2018 con il calcolo del debito generato, si evidenzia come per ogni euro in capo a chi è nato nel 1946, chi è nato nel 1986 ne ha il doppio, ne ha 4 chi è nato nel 1994, ònere che sale vicino a 8 per chi ha 10 anni e che schizza a 16 volte per chi ne ha 5.
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Il che pone molti punti di discussione: dal diritto di voto degli under 18, al rialzo dell’età media della popolazione residente e dell’età dell’elettore medio. Con pesanti ripercussioni in tema di marketing politico: se porta più voti soddisfare le esigenze degli over50, chi riuscirà a convincerà i giovani a non trasferirsi all’estero?
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