Se la produzione di petrolio a fine 2018 continuava a correre ben oltre i consumi, adesso la situazione si è capovolta: tra tagli Opec e collasso del Venezuela i barili estratti non sono più sufficienti.E il deficit di offerta – con la situazione esplosiva in Libia e la prossima stretta delle sanzioni Usa contro l’Iran – rischia di aggravarsi.
L’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) ha confermato a grandi linee la diagnosi già espressa ventiquattr’ore prima dal rapporto mensile dell’Opec: le scorte petrolifere da febbraio hanno ricominciato a scendere e se la domanda continuerà a tenere (un grosso interrogativo, visto che l’economia globale sta tirando il freno) gli equilibri sul mercato potrebbero diventare molto fragili. Il risultato potrebbe essere un ulteriore rincaro del greggio, che si è già apprezzato di oltre il 30% da inizio anno.
PER SAPERNE DI PIÙ / Petrolio, rischio conto salato per le sanzioni Usa a Venezuela e Iran
Ieri a dire il vero le quotazioni hanno ceduto quasi il 2%, e il Brent è tornato sotto 71 dollari al barile, Ma il rally era stato un po’ troppo impetuoso nei giorni scorsi, ignorando fattori ribassisti come l’aumento delle scorte Usa o il pessimismo dell’Fmi, che vede la crescita globale rallentare al 3,3%, il minimo dalla crisi del 2009. E poi sta prendendo corpo l’ipotesi che l’Opec Plus faccia un passo indietro al vertice del 25-26 giugno, non rinnovando – o rinnovando in modo attenuato –l’accordo sui tagli di produzione.
PER SAPERNE DI PIÙ / Libia, l'assedio di Haftar a Tripoli fa correre il prezzo del petrolio
Il presidente russo Vladimir Putin ha smorzato le attese, affermando che Mosca non vuole «una salita incontrollata dei prezzi», e ieri fonti Opec riferivano alla Reuters che la coalizione sarebbe orientata a cambiare rotta se la disponibilità di greggio si riducesse troppo e il barile arrivasse a scambiare a 80-85 $.
Il rischio che l’offerta cali in modo eccessivo è concreto. Oltre agli interrogativi sul futuro del Venezuela e sull’export dall’Iran (gli esoneri dalle sanzioni Usa scadranno a inizio maggio), a fare paura adesso c’è anche la Libia. L’offensiva del generale Khalif Haftar per la conquista di Tripoli non ha finora compromesso nessun impianto relativo al petrolio né al gas, che l’Italia importa attraverso il Greenstream, gasdotto che “inizia” non lontano da Tripoli.
Da un momento all’altro tuttavia la situazione potrebbe precipitare, avverte Mustafa Sanalla, presidente della National Oil Corporation (Noc), una delle poche entità unitarie in un Paese diviso: «A causa delle dimensioni delle forze coinvolte temo che la situazione possa essere molto peggio che nel 2011», ha denunciato Sanalla al Financial Times.
Il riferimento è alla guerra civile che portò alla caduta del regime di Muammar Gheddafi. L’industria petrolifera libica arrivò alla completa paralisi e anche in seguito l’output – che in precedenza superava 1,6 mbg – è rimasto per anni inferiore a 500-600mila bg, riuscendo solo dall’anno scorso (e in modo discontinuo) a risalire sopra 1 mbg.
«La produzione deve restare ininterrotta – implora Sanalla – Se perdiamo 1,2 mbg adesso non potete immaginare quanto potrebbe salire il prezzo del barile».
Il mercato del petrolio è già in deficit di offerta. Le scorte hanno ripreso a calare e secondo l’Aie dovrebbero continuare a farlo per il resto dell’anno, se l’Opec continuerà a produrre ai livelli attuali, che sono i più bassi da 4 anni a questa parte: 30,1 mbg a marzo, a causa di un nuovo impressionante crollo in Venezuela (dove le estrazioni sono crollate addirittura a 870mila bg da 1,4 mbg il mese precedente) e delle riduzioni volontarie dell’Arabia Saudita.
Da novembre il gruppo ha sottratto al mercato 2,2 mbg, osserva l’Agenzia dell’Ocse. E complessivamente l’offerta mondiale di greggio si è ridotta di 3,1 mbg nello stesso periodo, durante il quale anche molti Paesi non Opec hanno tirato il freno.
Resta l’interrogativo della domanda, eccezionalmente «resiliente» negli ultimi mesi secondo l’Aie, che però ora (pur mantenendo invariata la stima di una crescita di 1,4 mbg) comincia a vedere qualche segnale di cedimento. A gennaio e febbraio Cina, India e Usa insieme hanno ancora aumentato la domanda di 1 mbg. Ma nell’insieme i Paesi Ocse hanno registrato un calo di 300mila bg nel quarto trimestre 2018 – il primo dal 2014 – seguito da un’ulteriore diminuzione nel primo trimestre di quest’anno (provvisoriamente stimata di 100mila bg). Sul futuro aleggiano molti rischi, avverte l’Aie, e il Brent a 70 dollari «chiaramente è meno confortevole per i consumatori».
© Riproduzione riservata