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Fondi pensione europei, ecco come i costi frenano la concorrenza

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Servizio |PREVIDENZA COMPLEMENTARE

Fondi pensione europei, ecco come i costi frenano la concorrenza

La concorrenza europea tra i fondi pensione parte con il freno a mano tirato. La causa? Le commissioni di trasferimento tra i Pepp, gli strumenti paneuropei di previdenza complementare che imporranno a chi intende trasferire la propria posizione un’onere fino allo 0,5% sul patrimonio previdenziale trasferito, oltre che le eventuali commissioni amministrative.

Un balzello in grado di scoraggiare chi intenda preferire uno strumento previdenziale ad un altro, vanificando uno degli elementi distintivi per cui è stata predisposta l’architettura della previdenza complementare comunitaria, ossia la portabilità della posizione tra strumenti concorrenti. L’articolo 48 del Regolamento redatto dal Parlamento europeo e dal Consiglio sui Pan-European Personal Pension Product (PEPP) indica infatti nel mezzo punto percentuale il limite massimo da applicare: il che ovviamente offre molto spazio ai provider per mantenersi a un livello decisamente inferiore. Tuttavia, è originale che l’indicazione dei costi sia relativa al patrimonio da trasferire.

Per fare un esempio concreto, un trentenne neo assunto che decida di aderire a uno strumento di previdenza complementare, si troverebbe al pensionamento a 67 anni con un patrimonio stimabile vicino ai 150mila euro. Per trasferire una posizione altrove qualche anno prima di smettere di lavorare, poniamo il caso arrivato a un montante di 100mila euro, dovrebbe versare fino a 500 euro di commissioni di trasferimento, oltre potenzialmente alle spese amministrative. Cifre totalmente fuori mercato, se si pensa alla realtà italiana, dove i costi per il trasferimento delle posizioni previdenziali sono molto spesso azzerati, soprattutto per quanto riguarda i fondi pensione di categoria e per alcuni tra i più diffusi fondi aperti e Pip (piani individuali pensionistici). Mentre laddove queste siano previste, hanno natura meramente amministrativa - non quindi parametrata sul patrimonio “conteso” - e comunque ridotte a cifre in genere inferiori ai 20 euro.

Con il varo del decreto legislativo 252 del 2005 che ha riformato lo statuto del Tfr e dato una significativa spinta alle adesioni agli strumenti di previdenza complementare (anche se limitate a poco più di un quarto degli aventi diritto), il sistema italiano di previdenza complementare ha abbattuto in misura decisa gli ostacoli alla concorrenza, imprimendo una corsa al ribasso dei costi operativi come quelli di trasferimento o di anticipazione della prestazione, così come delle commissioni di gestione (ridotte a pochi punti base) che incassano i gestori che ottengono i mandati di gestione dai fondi pensione stessi.

È in quella fase che sono stati drasticamente abbattuti i cosiddetti “preconti”, ossia le commissioni che venivano caricate nelle prime rate di adesione dei Pip (o Fip), andando a rappresentare fino al 90% dei versamenti dell’aderente; una pratica diffusa negli anni precedenti che rendeva anti-economico il trasferimento ad altra posizione, magari sulla base di una cattiva gestione e di una legittima richiesta di una migliore allocazione del proprio risparmio previdenziale. L’equiparazione dei Pip, strumenti tipicamente di terzo pilastro, ai fondi pensione di categoria di natura collettiva e di secondo pilastro, ha reso necessaria la rivoluzione commissionale di queste polizze previdenziali, rendendo il mercato sostanzialmente aperto e concorrenziale.

I Pepp, per loro natura, nascono come strumenti di terzo pilastro di natura molto simile ai Pip, ma occorrerà tempo prima che potranno essere distribuiti: tra implementazione nei singoli paesi oltre alla normativa di secondo livello, ci vorranno ancora due anni almeno prima di assistere al loro arrivo sul mercato. Un tempo sufficiente per capire molti dettagli della loro prossima fisionomia: i costi, come detto, ma anche il regime di tassazione nella fase di accumulazione, di rivalutazione e di erogazione delle rendite. Con un ulteriore problema potenziale: quello degli arbitraggi tra paesi comunitari.

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