Ogni volta che Mario Draghi prende la parola ogni operatore di mercato non può fare a meno di sintonizzarsi. Ieri la riconosciuta abilità oratoria dimostrata dal presidente della Bce ha però forse mancato di manifestarsi, o almeno non lo ha fatto come ormai di consueto durante suoi quasi 8 anni trascorsi al vertice dell’istituzione più importante dell’Eurozona. Un messaggio che dopotutto apre la strada a una politica monetaria più accomodante, come quello di garantire che i tassi dell’area resteranno su questi livelli almeno fino alla metà del prossimo anno, è stato infatti letto in modo diametralmente opposto dal mercato.
A dimostrarlo sono in primo luogo l’avanzata dell’euro, tornato a quota 1,13 dollari per la prima volta da quasi due mesi a questa parte, ma anche la reazione tutto sommato freddina delle Borse del Continente, che hanno terminato in ordine sparso non lontane dalla parità (+0,11% per Piazza Affari) e ben al di sotto dei massimi di giornata. Un discorso a parte meritano i movimenti dei titoli di Stato, questi sì in linea con un atteggiamento più da «colomba» come ci ricorda il calo dei rendimenti in tutta l’Europa (esclusa l’Italia, ma soltanto per via delle perduranti tensioni sul nostro debito pubblico).
Addossare però la responsabilità di una simile accoglienza all’intervento di Draghi nella conferenza stampa che ha seguito le decisioni del board Bce sarebbe ingeneroso, oltre che errato. Il «corto circuito» con il mercato è legato in realtà a una sorta di equivoco, se non un vero e proprio paradosso: allungando di qualche mese il periodo durante il quale i tassi sono destinati a restare invariati al livello attuale, questa volta il board Bce non ha soltanto escluso rialzi (come si poteva pensare fino a qualche mese fa), ma ha tolto dall’orizzonte anche eventuali riduzioni del costo del denaro. Queste ultime non sono infatti più così tanto fuori luogo a questo punto, visto l’andamento delle aspettative sull’inflazione a medio termine (1,29%, mai così basse dal 2016) e la tendenza in atto fra le altre Banche centrali mondiali, Federal Reserve in primo luogo.
“«Questo cambiamento nella retorica indica in effetti che la posizione della Bce si è spostata verso un atteggiamento più accomodante».”
Marco Valli, UNiCredit Research
Certo, di una eventuale nuova sforbiciata ai tassi si è effettivamente parlato ieri all’interno della riunione del consiglio (eccezionalmente riunito a Vilnius in Lituania), così come alcuni banchieri si sono dichiarati a favore di una riapertura del piano di riacquisti di titoli terminato a fine 2018: segnale che le aspettative degli investitori non erano poi così campate in aria. Ma i tempi non sono evidentemente ancora maturi, e anche la comunicazione Bce qualche volta finisce per perdere l’abituale efficacia. «È probabile che la discussione sia stata preliminare e non pensiamo che tale azione sarà giustificata nei prossimi mesi, ma questo cambiamento nella retorica indica in effetti che la posizione della Bce si è spostata verso un atteggiamento più accomodante», ha spiegato Marco Valli, capo economista per l’Europa di UniCredit Research, sottolineando però una potenziale «falla» nella retorica utilizzata.
Tempi che cambiano
Se infatti fino a qualche mese fa una simile indicazione sarebbe servita in primo luogo a garantire agli operatori che non
vi sarebbero state mosse restrittive nell’arco dei mesi successivi, con il nuovo scenario le stesse parole rischiano di essere
molto meno rassicuranti, perché in realtà escludono anche quelle decisioni espansive che sul mercato qualcuno già si aspetta.
«Sostenere che l’indicazione sulle prospettive future non fornisce alcun orientamento implica che dopo il primo semestre
del 2020 la Bce vede pari probabilità che i tassi possano salire o scendere», fa notare Valli, chiedendosi quale sia a questo
punto lo scopo di continuare ad adottare uno schema simile di comunicazione.
I rischi sull’efficacia dellaforward guidance
«Se oggi la Bce avesse voluto comunicare di seguire un orientamento neutrale, avrebbe probabilmente dovuto abbandonare ogni
riferimento temporale, limitandosi a dichiarare che i tassi rimarranno ai livelli attuali per tutto il tempo necessario a
raggiungere l’obiettivo di inflazione. Se invece si fosse voluto trasmettere un orientamento espansivo si sarebbe potuto
semplicemente dichiarare che i tassi rimarranno ai livelli attuali o inferiori per un lungo periodo di tempo, formulazione
già utilizzata in passato», argomenta ancora l’economista di UniCredit. Questioni che potrebbero apparire di «lana caprina»
a un occhio superficiale, ma che in futuro non passeranno certo inosservate all’Eurotower se vorrà evitare problemi di comunicazione
non trascurabili riguardo quella forward guidance che, per loro stessa ammissione, resta al momento il principale strumento di politica monetaria.
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