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Questo articolo è stato pubblicato il 11 aprile 2012 alle ore 07:00.

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Nella globalizzazione, e nella crisi, oltre che tra imprese si compete tra sistemi territoriali. Si compete per andare nel mondo, non tra chi è il più bello del reame. È capitato nella diatriba, più che decennale, tra Piemonte e Veneto su chi fosse più titolato a essere il primo della classe.
I primi per storia, i secondi per rampantismo. Con in mezzo la Lombardia che ha sempre avuto la presunzione di fare da arbitro. Ci ha pensato la crisi a smorzare il provincialismo localista.

Da questo giro d'Italia appena iniziato, par di capire che a tutti è chiaro che se ne esce o tutti assieme o non ce n'è per nessuno. Quindi più che sulla perdita di rango della one company town e dei suoi territori mi soffermerò, partendo da Torino città-regione, sul come il sistema Piemonte sta reagendo alla crisi.

Agliinizidegli anni Novanta Torino disponeva ancora di risorse: capitali, imprese e infrastrutture per produrre al vertice nazionale.
La fine di alcune delle storie industriali italiane più significative (Olivetti, Gft e altri), la progressiva delocalizzazione della produzione di automobili, hanno drasticamente ridotto la base industriale del territorio. La città ha vissuto una profonda trasformazione che vede da tempo una preponderanza delle attività terziarie e dei servizi. Nella crisi vi è la verifica se la città è capace di superare il futuro con una selezionata base manifatturiera, le produzioni immateriali, la cultura e la ricerca.
Torino ha incrementato la capacità di attrarre nei suoi atenei studenti dall'estero: è seconda solo a Bologna per la percentuale di universitari stranieri. Ha come punto di forza la spesa in ricerca e sviluppo, sopra la media Ocse oltre che a quella italiana.

Per intensità della produzione brevettuale è tra le province metropolitane al secondo posto e ha una quota di occupati e business service inferiore a Milano, ma pari a Roma e Bologna. Sul futuro industriale pesa l'incertezza del progetto Fabbrica Italia di Fiat Auto.

Nel 1993 venivano fabbricate a Torino 570mila auto, sono meno di 70mila nel 2011. Numeri di merci che rimandano a uomini e a posti di lavoro perduti. Nella capacità sociale di tenere assieme il nuovo che emerge e il passato sociale che pesa vi è una sfida che fa di Torino un laboratorio di welfare necessario. C'è poi il secondo Piemonte: Cuneo, Asti, Alessandria, che era secondo quando la company town irradiava il suo modello unico. È un'area caratterizzata da forte diversificazione economica, con molte piccole imprese che fanno da robusto retroterra ad alcune grandi e medie aziende a vocazione globale e specializzazione forte nel settore agroalimentare.

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